Donald Trump e i numeri?! Sì, oggi va così.
Fatemi andare con ordine.
Succede una cosa strana da quando frequento i social network: pur nella mia crescente consapevolezza del mezzo e delle sue dinamiche, commetto sempre lo stesso errore: credo che il pensiero della ristretta cerchia delle persone che seguo nel mio profilo privato sia coincidente con quello del mondo.
Da qui un’infinita sequela di delusioni rispetto a elezioni e al sentire comune, quello fatto da più occhi, più cuori, più persone di quanti io possa anche minimamente immaginare.
Come posso essere tanto superficiale?
Come può essermi oscuro, almeno sulle prime battute, che il mondo è altro e altrove?
Metteteci una percentuale cospicua di ingenuità personale – con me ci sta sempre bene – ma aggiungete anche il meccanismo perverso dei social network: farti sentire perennemente al centro di un tutto fittizio e assolutamente egoriferito. Sarà per questo che li amo sempre meno.

©Lenka Clayton
Torno al punto: Donald Trump e i numeri.
Cosa c’entra una premessa tanto verbosa per spiegare un’associazione d’idee piuttosto criptica?
Trump, la recrudescenza dei movimenti violenti, sessisti e reazionari, il desiderio di separazione, il protezionismo – la finirei qui per non accrescere oltremodo la mia ansia – tutto questo risponde a un forte desiderio della massa, la massa meno conosciuta, meno indagata, meno fotografata e meno ascoltata di far sentire la sua voce.

©Lenka Clayton
Sono giorni che mi interrogo su questa dinamica e ci vedo una grandissima responsabilità della cultura. Di non essere stata in grado di parlare con semplicità, di abbracciare e coinvolgere, di creare empatia e ascolto.
Ora non voglio dire che chi ha votato Donald Trump sia un ignorante o che chi sente di doversi chiudere a riccio, serrando ponti e ricostituendo gabelle, sia un involuto.
Sto cercando di spostare il mio pensiero sulle responsabilità delle élites intellettuali di avere gestito con approssimazione e un certo grado di snobismo il suo compito più importante, quello di spingere le persone a farsi delle domande, a chiedersi quanto un’azione contempli delle responsabilità non solo personali ma anche geografiche, quanto l’ascolto di altre idee possa essere utile per costruire la propria, quanto il rispetto non tanto per l’autorevolezza ma per la preparazione possa fare la differenza e vada difeso come una delle dieci regole d’oro dell’educazione.
Ho la sensazione che gli intellettuali debbano lasciare definitivamente le torri d’avorio, che i politici debbano rimettere in discussione seriamente la propria labirintica capacità di eludere le domande, che gli addetti nel settore della comunicazione e della diffusione delle notizie debbano ridimensionare il proprio ego a favore delle leggibilità, della comprensione, del rispetto per il proprio lettore.
E in questo senso c’entrano i numeri. Sono stanca di tutto questo drammatico bisogno di testare la propria autorevolezza su numeri e statistiche, dimenticando che la forza di un assunto si basa oggi più che mai sulla capacità di creare confronto, contenuto, libera circolazione di idee.
Di eroi su scranni virtuali non abbiamo più bisogno, adesso è ora di azzerare i contatori e tornare a parlare da persone con le persone.
Le ultime tre foto inserite nel post si riferiscono al lavoro dell’artista Lenka Clayton.
Tutte le informazioni su di lei e la sua arte sono QUI.
Vi consiglio con il cuore questo video.
Ciao,
Sono d’accordo su tutto. Esistono solo gli estremi. La presunzione e il voler essere criptici e incomprensibili e dall’altro lato la faciloneria o la semplice paura. Mai che si scelga la via della ragione. Spesso la cultura mi pare incomprensibile. Ma nessun concetto è incomprensibile per natura. Tutto può essere spiegato. E non si sta parlando di filosofia (anche questo un mezzo per comprendere e non mistificare) ma di persone scelte per rappresentare altre persone. Persone diverse. A proposito, grazie per avermi fatto conoscere Lenka Clayton, definita ‘artista concettuale’, che usa strumenti semplicissimi. Buona giornata.
Quello che più temo è che il concetto di “un tutto fittizio ed egoriferito” sia applicabile non solo ai social network ma ormai a tutti gli ambiti: politico, culturale, educativo, comunicativo. E quando ai “piani alti” non si ha più voglia di indagare e ascoltare la cosiddetta “massa”, sarà poi quest’ultima a farsi sentire con sempre più forza e violenza. Tuttavia sono speranzosa: nei singoli incontro tanto fermento, tante idee nuove, tanta voglia di fare bene, di condividere e collaborare. Coraggio! Non molliamo!
Ti racconto una storia. Vera. Conosco una famiglia di quattro persone, lavoratori, umili e onesti. Titoli di studio pochi, ma tanta voglia di fare che, anche quando il lavoro veniva meno, li portava a trovarne un altro. Così nel tempo hanno anche acquistato una casetta in un quartiere di periferia della mia città. Un quartiere composto da gente come loro, persone che non vivono negli agi, che magari fanno fatica a sbarcare il lunario, ma che portano la propria umiltà con dignità e rispetto.
Poi succede che quando arriva il momento di decidere dove mettere un campo rom, quel quartiere periferico pare l’ideale. Non nel centro storico, ovvio, né nella vicina area commerciale. Non nei quartieri residenziali o quelli nuovi e moderni. Il quartiere umile di periferia.
Ora, chi avrà più presa su quelle persone, il politico di sinistra che parla di integrazione o un riccone alla Trump che propone muri? E se quegli onesti lavoratori voteranno Trump, che non condivide certo la loro condizione sociale, si potrà dire che sono ignoranti? Non sarà stato forse più ignorante e presuntuoso chi li ha ritenuti adeguati ad ospitare un campo rom?
Hai ragione, forse prima di giudicare dovremmo riflettere di più. Dovremmo calarci nei panni altrui. Di tutti.
Ciao Camilla,
la tua riflessione è esattamente la stessa che mi sono trovata a pensare. Abito in Canada e ho molti amici americani, tutti hanno espresso un grosso disappunto (ovviamente) e anche una grande sorpresa. Questo mi ha portato a pensare come i media (giornali e tv) abbiano fatto un lavoro martellante di campagna contro Trump, che è risultata in effettiva pubblicità, e che non ha avuto minimamente l’effetto di dissuadere dal votarlo. Dall’altro lato, con questi social media, siamo tutti in campane di vetro specchiate, una bolla che riflette il nostro ego e risuona di voci simili alla nostra. Viviamo in un mondo in cui il confronto con chi la pensa diversamente da noi è sempre più rarefatto, e quando c’è è polarizzato. Spesso pensiamo che essere attivi sui social media corrisponda ad attivismo politico o sociale. Non è così. Concordo pienamente con te nella riflessione sul fallimento di comunicazione delle elite culturali.
In questi giorni ho finito di leggere il bellissimo e secondo me importantissimo saggio di Zygmunt Bauman intitolato Amore Liquido. Il capitolo finale parla proprio di questa chiusura sempre maggiore al confronto. Considerando che il saggio è stato scritto quasi 15 anni fa, quando i social media non esistevano praticamente… è tristemente profetico.
Mi sono dilungata, ma hai scritto cose che avevo in testa da una settimana! (e anche qui ci stiamo specchiando…)
Grazie per il tuo blog!
Benedetta
Penso che hai centrato tantissimo il punto: gli scranni virtuali. Per anni la cultura è stata solo d’élite, possibilmente di sinistra.
La cultura non deve essere per l’élite. Deve essere fruibile da tutti perchè tutti hanno il diritto di poter godere delle cose belle. Dante Alighieri insegna, no?
La situazione è esasperata anche qui. Con chiunque tu ragioni, va sempre a finire sulle stesse tematiche “alla Trump” e se dovessimo trovare un candidato simile alle nostre ipotetiche elezioni, ora come ora vincerebbe a mani basse.