Mi sono sempre piaciuti i topini da biblioteca, questo oramai è assodato: sono così attratta dal genere che potrei tranquillamente fidanzarmi con Firmino. Inoltre sono una dichiarata gerontofila: le mie frequentazioni ottuagenarie hanno dello speciale, soprattutto se si consumano nel solito bar, non lontano da casa, tra un bianchino e del buon Sauris appena tagliato.
Negli ultimi anni, complici forse le suddette passioni, ho preso a frequentare con assiduità una libreria dal nome che riecheggia versi alessandrini e strizza l’occhio a una mitica costellazione figlia di Atlante (quella che vedete nella foto in alto è un’altra: si trova a Firenze, precisamente qui).
In questo posto silenzioso e in disparte ci vive un signore azzimato e chiacchierino; dotato di modi d’altri tempi, che ben si sposano con grossi occhiali da presbite calati sul naso e il gilet di pelle nera più rock che si sia mai registrato. È un topino, un vecchio topino che divide il suo spazio con quintali di carta e altrettanti di storie, pensieri, amori e volti. Non credo di poterlo immaginare fuori da quel buco di metafore e congiunzioni: credo che da qualche anno la sua vita sia tutta lì, tra acari cartacei che ballano tanghi tristi e copertine d’autore in attesa di una mano pronta a lambirli.
Una gita da Monsieur Topin è da augurarsi di cuore, e chiunque sia gravitato nella mia sfera vitale, anche solo per un po’, ha potuto beneficiarne. Si respira l’aria nostalgica di un tempo rarefatto, da quelle parti. Con la catalogazione dei libri volutamente confusa, così che tu possa chiedere “dove e perché” e ne nasca una conversazione labirintica capace di stordire, confondere, far dimenticare i motivi tangibili che ti hanno spinto lì.
Calvino sotto Wilbur e prima della Bachmann. Wislawa sdraiata che si schiaccia un pisolino e musica classica ovunque, a suon di quattro, cinque, dieci euro. Non esistono regole inappellabili per chi, come lui, vende pezzi della sua vita tra le pagine di un libro o nelle tracce di un disco.
Monsieur Topin è il mio libraio triste. Oggi, mentre cercavo il Deserto dei Tartari, ho sentito che diceva di essere vedovo. Lo immagino addormentato sulla poltrona che s’intravede nel retrobottega. Me lo immagino accarezzato da Madame Bovary, mentre piange per Drusilla la Mosca o vaga per la Praga magica di Ripellino. Lo vedo in quei giorni di grigio indifferente, di porta che non si apre neanche a sperarlo, di silenzio che annienta e schiaccia con la sua evidenza. Eccolo lì, con il libro dei suoi ricordi, magra consolazione di un tempo che è stato.
Il mio libraio triste mi ricorda sempre che il tempo è qui ancora per poco e che molta parte della sua specialità dipende dal valore che gli conferiamo. Siamo protagonisti di un’occasione regalata e unica e molto spesso ce ne dimentichiamo. Rimandando, demandando e attendendo.
L’ha scritto nel suo libro mai iniziato, il mio libraio triste, il migliore di quelli che io abbia letto in tutta la vita: se rispetti i tuoi desideri e assecondi quello per cui sei votata, se ti contorni del bello che ti fa continuare a essere viva e propositiva, non ti resterà che sciogliere i capelli e seguirti.
Monsieur Topin è pelato, ma ci sono certi giorni in cui giurerei di vederlo sciogliere la chioma dei suoi dubbi mentre, seduto sul suo scranno usurato, re di pochissimi metri quadrati di allitterazioni, si segue in un presente dignitoso e proiettato.
Bacibelli a Tutti!
Wo!
http://profumoditerra.blogspot.com/2008/07/femmina.html
:DDDDDDD
smacksmacksmack!!
Neve neve neve!