23 Maggio 2016

L’Amore è un doppio filo

Camilla - Zelda was a writer

ScrapZelda

Buongiorno a tutti!
Eccomi di nuovo da queste parti per un post che mi sta molto a cuore e a cui ho pensato lungamente.

Una breve premessa è doverosa, cercherò di essere sintetica.
Nelle ultime settimane, ho avuto modo di realizzare 5 collage ispirati ad Artists in Love, una serie di documentari dedicati a coppie celebri del mondo dell’Arte che Sky Arte ha proposto al suo pubblico una volta alla settimana.

L’insieme di storie d’amore era variegato e allettante e io ho deciso di selezionare 5 coppie che potessero ispirarmi un progetto di carta. – Sì, ancora lei, la mia amata carta!
L'amore è un doppio filo | Zelda was a writerÈ nato così L’AMORE È UN DOPPIO FILO, un complesso lavoro di collage e citazioni che ha unito (proprio con un filo doppio) vite mirabolanti e destini leggendari. Il filo esiste veramente, così come i punti che uniscono le casualità e l’ago che le ha pazientemente intrecciate.

Le coppie selezionate? Johnny Cash e June Carter, Pablo Picasso e Dora Maar, Frida Kahlo e Diego Rivera, Federico Fellini e Giulietta Masina e, infine, Rudolf Nureyev e Erik Bruhn.
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La mia idea era questa: raccontare l’arbitrarietà del caso, unire tutte le tessere di un mosaico davvero fantasioso e complesso – lo stesso che viene definito “Vita” – con disinvoltura e amore per la composizione.

Ne sono nate 5 opere a cui sono molto legata (le chiamo *opere* per comodità ma giuro che non sto pensando a me come a una collega di Picasso e a Caravaggio!) e che hanno contribuito ad ampliare notevolmente le mie considerazioni sulla creatività 2.0. 
L'amore è un doppio filo | Zelda was a writerSe sono qui oggi è per parlarvi proprio dei due canali espressivi che caratterizzano la diffusione della creatività, i suoi messaggi e i contenuti: quello virtuale e quello fisico.
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Il mio lavoro partiva da un fatto materico che doveva venire mostrato in uno spazio aereo come quello del web. Foto, opere e pezzi di carta provenienti dai contesti più disparati sono stati strappati, incollati e assemblati in modo da creare un nuovo significato, una nuova opera, una nuovo contesto.

La condivisione è stata veicolata attraverso i miei canali social, instagram in primis. Ma poi il progetto si è rivelato più ambizioso del previsto e ho sentito il bisogno di cercare 5 cornici che custodissero i miei 5 tentativi.
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Che cosa bizzarra: un fatto fisico raccontato virtualmente – come tante altre volte mi era capitato di fare – ha avuto bisogno di dire di più.
Badate bene: non avevo bisogno di completare il messaggio o di comunicarlo meglio, volevo dire dell’altro, volevo farlo diversamente. Da qui è nata l’idea di modificare alcuni collage, di includerli in cornici e di trovare un posto per esporli.

Il posto non l’ho ancora trovato e una cornice è rotta, temo a causa del trasporto.
Mai cose facili, da queste parti…
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Ecco, dunque, la considerazione: mostrare sui social un messaggio e metterlo in cornice sono due fatti assolutamente diversi.
Niente di nuovo, direte voi, ma vi confesso che anche io, che in teoria dovrei essere abbastanza allenata alla differenza, spesso tendo a fare confusione. Il passaggio dalla virtualità alla messa in cornice ne è una prova lampante: ero letteralmente stupita! 

In pratica, ero di fronte a due modi di comunicare differenti. Due universi di sicura parentela ma dagli idiomi e dalle regole compositive profondamente diversi.

Stessa opera, diverso messaggio. Stessa opera, diversa volontà di coinvolgimento. Stessa opera, necessità compositive agli antipodi. Stessa opera, infine, e ricezioni diverse da contemplare.
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Mostrare/condividere/diffondere/raccontare sul web vuol dire farsi aiutare da fattori che in un certo senso puoi controllare. La luce, la macchina fotografica o il cellulare, i tempi più consoni, il numero di battute, un contesto sospeso che, come i limiti dalla cornice, presenta dei confini e delle determinate regole.
Una volta che li conosci, hai tutto quello che ti serve per comunicare. Io so come voglio che venga una foto, so cosa devo comunicare, so che se l’opera non mi aiuta del tutto, ci penserò io. Una traiettoria, un contesto preciso, luce/ombra, sovrascrittura… Insomma, la mia produzione è una base utile per aggiungere altro, tutto in funzione del mio messaggio.

La mia opera non è la base di carta da cui sono partita ma l’insieme compositivo che ne è nato: in questo senso, non avrò mai un risultato materico tra le mani.
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In un contesto fisico (espositivo o lo spazio di un evento, di un incontro), invece, capita che tutta quell’aggiunta di altro sia appannaggio esclusivo di chi guarda, di flussi improvvisi e non contemplati, di ottime o disastrose congiunture astrali e/o meteorologiche. Per dirla con poche parole: tutto dipende da una meravigliosa scommessa del qui e dell’ora.
Un pubblico esiste anche nell’ambito virtuale, è vero, ma in quel contesto c’è una maggiore possibilità di accompagnarlo per mano. 

L’esperienza offline è un fatto tridimensionale. C’è uno sfondo che non controlli, sei mobile, sei esposto su tanti lati. 
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In questo post ho tentato di esaltare il fatto – magico e insostituibile per quanto mi riguarda – che contempla la diffusione/fruizione di un contenuto (opera, evento, …) in un posto fisico. Un po’ come capita al nostro Bookeaterclub, per esempio.
E, al contempo, ricordare quale meravigliosa occasione sia fornita ai nostri messaggi iconografici dalle dinamiche del virtuale, con i suoi canali veloci e la sua trama infinita di occhi e orecchie.

Il punto, secondo il mio parere, sta nel ricordarsi sempre e comunque quanto questi due ambiti così fertili rispondano a regole proprie. Quanto siano diversi i loro spazi e le necessità compositive che ne conseguono. Se guardate bene i miei collage, vi renderete conto di quanto siano un’altra cosa, una volta messi in cornice.

In questo momento della mia vita sento maggiore bisogno di affrontare i rischi tridimensionali della comunicazione offline. Ma è fatto certo che nessuno dei due ambiti sia migliore dell’altro.

Entrambi – ognuno a suo modo – lavorano per realizzare il tracimante bisogno di essere ascoltati e di continuare a raccontare. Ed è forse per questo che li amo follemente.

Un sorriso e buona settimana,
Camilla
Zelda was a writer

ps: che ne dite, la organizzo una mostra su questi cinque quadri o piango lacrime amare sulla cornice rotta?

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