Le parole sono importanti, lo diciamo di continuo ma talvolta è più forte il bisogno di stupire, di spararla grossa.
Spesso loro malgrado, le parole diventano frecce scoccate da archi di odio e insoddisfazione. Portano con sé un carico esplosivo di senso, non sempre chiaro a chi se ne fa portavoce.
Le parole sono meccanismi a orologeria, mondi che conducono ad altri mondi, giochi geniali e biechi meccanismi.
Chi ha in mano le parole ha una responsabilità meravigliosa, di cui dovrebbe sempre sentirsi onorato. Chi ha in mano le parole può cesellare varianti infinite di ovvietà, innalzandole a teorie, a credo pericolosissimi.
Le parole muovono folle e uccidono. Le parole fermano un individuo tra tanti e lo rimettono al mondo.
Ci vuole pochissimo, con le parole, e le donne con percorsi inediti rispetto all’idea comune (sì, lo so, un discorso da lacrime amare) diventano “cazzute” o “hanno le palle”, gli avari sono dei “rabbini” fatti e finiti, chi non la pensa come noi “ha un cromosoma di troppo” (vi giuro, non esagero: ne sono venuta a conoscenza grazie a una instagrammata di Martina).
Non conta avere studiato tanto, credo si tratti di una questione di educazione, di intelligenza emotiva, di attenzione a quello che il nostro pensiero e le nostre azioni producono.
Il buon eloquio, specie se accompagnato dal rispetto per il dialogo, non è cosa da esseri impagliati, chiusi nell’armadio, a pochi passi dalla naftalina. Il buon eloquio è da esseri fighi. Da persone coraggiose, che hanno idee talmente forti da non essere necessitanti di urla, improperi, deliri di vocali.
Più parli bene e più sei presente a te stesso e più il pensiero fluisce, coinvolgendo altri pensieri, producendo nuove connessioni di idee, nuovi incontri, nuova dialettica. Più parli bene e più, magicamente, tutti tentano di allinearsi a te.
Questo andrebbe ricordato di continuo perché, secondo il mio parere – il parere di nessuno, su questo siamo d’accordo – rappresenta la nostra unica forza, al momento. Una forza vanificata dal periodo storico non proprio piacevole, ammettiamolo, ma anche da una tendenza – furba e defilata – che ci vuole pecoroni selvaggi, dediti all’inneggiare, al dileggiare.
Pensare due volte prima di parlare, tacere se non si ha qualcosa di utile, costruttivo, compattante da dichiarare. Ecco qualche buona tips sull’argomento. E poi bisognerebbe smetterla una buona volta di dividere le persone in categorie e affidarsi con fiducia all’incontro anche di posizioni lontane dalle nostre.
Non è forse questo il senso del nostro viaggio? Non è forse necessario perdersi in un mare di opzioni per rimanere della propria idea o deviare – di poco o di tanto – la traiettoria del nostro cammino?
Leggo parole intrise di violenza, nell’ultimo periodo.
Dalle conversazioni animate e deliranti sul web riguardanti la devastante emergenza che coinvolge i migranti, mi sono accorta che nessuno si è risparmiato. Ovvietà pericolose, striscianti e infingarde, si sono fatte largo con termini ed epiteti di bassissima lega.
Anche chi era portatore di un ragionamento che io ritengo pienamente affine al mio (questo a dirvi che il mio non vuole essere un discorso fazioso), si è perso in insulti caustici e auguri di pronta morte.
Dove è finito il messaggio? Nei vaffanculo (sic), temo.
Questo è il momento giusto per utilizzare tutte le regole di buona creanza che ci hanno insegnato i nostri genitori. Questo è il momento, ripeto, di tacere e di fare. Di sentirsi chiamati a essere responsabili non solo dei propri gesti ma anche del proprio agire nel “mare ben più procelloso e infestato dai corsari” che è il web.
Il web ci può dare la forza di essere un gruppo compatto e ramificato, un esercito dai toni pacati, forse, ma non meno combattivo e volitivo. Non dimenticarlo mai e alimentare le connessioni potrebbe avere risvolti a dir poco rivoluzionari.
Non è solo la questione dei migranti ad avermi spinto a scrivere queste righe (troppe, me ne scuso). Il bieco utilizzo delle parole è ovunque. Pensate agli articoli (di giornalisti, sì) che esaltano Samantha Cristoforetti come un mito cazzuto che finalmente ha lasciato i tacchi a spillo per fare cose serie.
Non vi agghiaccia il fatto di abitare in una società che si sorprende di un percorso femminile di certo esemplare ma assolutamente auspicabile, possibile? E non vi spaventa per voi e per i vostri figli che tutto si giochi sul terreno della pochezza e della violenza?
Una società in cui il membro maschile è usato come unità di misura della grandezza di una persona ha bisogno di tutta la nostra ferma gentilezza e di parole selezionate con cura e coraggio. E poi servono occhi aperti, senso di gruppo e tantissima forza.
La situazione è davvero esplosiva, da qualunque parte la si guardi.
Cerchiamo di non perdere mai di vista un’importante verità: siamo noi con le nostre parole e i nostri atti a fare la differenza. Non la politica che decide per noi, non il più violento a dettare la legge.
Con tutti i demeriti del web, questa interconnessione veloce e alla luce del sole è quanto di meglio potesse capitarci.
Buona giornata,
Camilla
Zelda was a writer
Ottimo! Lo condivido immediatamente.
Grazie, mia cara!
parole, sante!
Grazie Jessica!
“Le parole fermano un individuo tra tanti e lo rimettono al mondo.” Dentro questa tua frase è sintetizzata la mia rinascita quando, in un momento di apatia e di sconforto non riuscivo a trovare un qualcosa di mio, un libro mi ha concesso una seconda opportunità, mi ha bisbigliato all’orecchio l’unicità di ognuno di noi e del sogno che ognuno dovrebbe avere. In quel momento ho realizzato perché da bambina non facevo altro che riempire fogli di parole cercando di metterle una in fila all’altra. Da quel momento ho capito quanto siano importanti per me le parole e più volte mi sono chiesta perché per tanti non sia lo stesso. Non ci si ferma a pensare e non ci si mette nei panni degli altri, non c’è più la gentilezza oppure e’ rara e l’egoismo sta mostrando il peggio di noi. C’è bisogno di riflettere su questo perché anche le parole fanno male, anche il come vengono pronunciate può provocare ferite e cicatrici. D’altronde non dicevi pure tu nel tuo libro, che caspita devo ancora leggere, “importa il modo, importa il come”? Questo post e’ da leggere e rileggere, grazie Camilla! Ti abbraccio!
Grazie a te, Marta! Per aver regalato nuovi spunti a questi pensieri.
Io credo che il modo sia tutto e che l’attuale situazione possa ancora prevedere rivolgimenti positivi. Siamo molti di più di quanto si pensi, ne sono certa!
Un sorriso!
AMEN.
Come le usi bene tu, le parole… Concordo su tutto!
Okay, tu non hai sposato il tuo migliore amico: hai bisogno di una sorella minore, per caso?
Mi offro volontaria come Zelda-Little-Sister!
Questo articolo è eccellente.
La tua riflessione tocca molti tasti, tra cui quello degli stereotipi di genere, in cui la donna con un percorso diverso dalla madre di famiglia diventa la donna che molla le scarpe con i tacchi a spillo. E se non li si porta, che si fa? Se si mettono All Star pure per il matrimonio della tua migliore amica, che succede? Diventi uno zimbello o sei quella cazzuta? Un po’ come lo stereotipo che ci vuole tutte mamme realizzate e felici. Chissà se si sono mai chiesti se vogliamo tutti esserlo, mamme, o non ci basti essere zie, sorelle, amiche.
“Una società in cui il membro maschile è usato come unità di misura della grandezza di una persona ha bisogno di tutta la nostra ferma gentilezza e di parole selezionate con cura e coraggio.”
Vorrei ora mettermi un fiore all’occhiello, e pensarti.
Dirti sì: lo dico con un fiore.
Che le parole a volte sono solo di troppo.