Buongiorno a tutti!
Buon mercoledì! Ieri è stata una giornata bella: sentivo moooolto meglio, ho ipotizzato di comprarmi questa libreria nel Marais (qui la testimonianza del nostro amore impossibile, qui la testimonianza della sua attuale chiusura… Grazie a Edith per la dritta!) e di portarvi tutti lì, chi a suonare l’ukulele, chi a tingere i capelli di rosa, chi a parlare la LIS e a spargere fiori sul selciato.
C’è da dire che il sole aiutava parecchio.
Oggi, manco a dirsi, piove a dirotto e attendo la Signora delle Punture: chi mi segue su facebook, sa che la signora che mi fa le punture della mattina è diventata una presenza irrinunciabile del quotidiano e che sto ipotizzando mezzi culinari per farla diventare amica della mia casa.
Oggi parliamo di libri. Spero ne sarete contenti!
L’urgenza di certi incontri del Destino (chiamiamolo così e regaliamogli pure una bella D MAIUSCOLA), mi impone di farlo nuovamente con uno forte, ancora una volta un bellissimo pugno in pancia.
Lunedì abbiamo parlato de L’Anno del Pensiero Magico, bellissimo e tragico, oggi ne affrontiamo un altro, di Valeria Parrella: Lo Spazio Bianco (Super ET, Einaudi).
Trovo che siano due libri molto vicini. E non solo per la presenza di mari all’orizzonte, che abbracciano e cullano come liquidi amniotici, o di rumorosi spostamenti della crosta terrestre, che creano isole e le distruggono.
Trovo che siano libri affini perché in essi si parla della Vita e della sua assenza, in un ritmo liturgico perso nella sapienza della Natura, un ritmo di attese e di insegnamenti. Cambiano i contesti e le motivazioni che li hanno creati ma il lettore sensibile vi troverà elementi atavici di una forza sorprendentemente utile: donne, madri, defezioni, ingiustizie e feroci ribellioni contro entità che non si riescono a definire, che sfuggono sempre di un impercettibile ma essenziale attimo o che forse, alla fine, non esistono affatto.
Il tutto nel turbinio di ritmi di scrittura meravigliosamente cadenzati e pregni di ripetizione, incrementati da fugaci cambiamenti di particelle, senso dell’aria e punteggiatura. Spogliati del loro senso pratico per diventare mantra, kaddish, ohm.
Anche in questo caso, cercate il tempo giusto per frequentare questo libro e non abbiate paura: lo spazio bianco non è vuoto ma una spinta a ricominciare.
Lunedì ci è venuta in aiuto la geologia, oggi possiamo contare sulla forza dell’a capo. Senza stare a scomodare l’ermeneutica ebraica, direi che in questo spazio bianco si estende una sapienza millenaria, molto utile per periodi come questo, che necessitano di spinta e motivazione.Ci vedremo tra una settimana, mercoledì 26 febbraio alle 19, all’Open More Than Books di Milano, per il nostro primo appuntamento del BOOKEATER CLUB (ecco, mi sembra calzante dirlo anche qui: iscrivetevi alla newsletter di questo blog per conoscere le prossime date e letture). Parleremo sempre di lei, di Valeria Parrella e, proprio per questo motivo, la sto studiando con cura. Ma vi confesso che la necessità di fare un buon lavoro ha lasciato presto il passo a un godimento pieno che fino a queste pagine la sua scrittura è stata in grado di regalarmi.
De Lo Spazio Bianco mi sono rimaste impresse nella mente le tre dita mancanti di Gaetano (alunno cinquantenne della scuola serale di Maria, la protagonista, impegnato a prendere la licenza di terza media), tre dita assenti perse sotto una pialla a filo.
Lo so che il senso del libro è altrove ma questa assenza tragica e invalidante, che gli ha impedito persino di prendere il patentino di fabbrica, mi fa pensare a tutti i motivi, strazianti e definitivi, che spesso vediamo come punti di non ritorno. Questi vicoli ciechi, in un momento apparentemente uguale a tanti, ci spingono con serafico tempismo a definire uno spazio bianco, un a capo definitivo e liberatorio declinato con un tempo verbale atipico: lo si direbbe un presente diverso, in attesa di un futuro prossimo, capace di resettare ogni più ragionevole timore e conferire alla vita un senso nuovo.
Io sento che questa idea di spazio bianco è un regalo di speranza tenace e dolorosa. Qualcosa per cui valga la pena di combattere strenuamente. Sarà colpa della pioggia, di quello che leggo ogni giorno sui giornali o, più banalmente, dei miei fastidi all’udito, ma questo approccio così ardimentoso alle risposte della vita riesce a commuovermi enormemente.
Ma ritorniamo alle tre falangi mancanti. Prima, con esse, Gaetano aveva in mano la pietra. Le tre dita, tranciate di netto – segno evidente di un dramma che il nostro Paese conosce fin troppo bene – sono diventate il viatico della piena libertà di una mano di tracciare i suoi pensieri più estesi, di sentirsi PADRONA di un ragionamento, di un tema da scrivere fitto fitto. Una nuova mano – simbolo di una tragedia – si trasforma: muovendosi sulla carta e definendo i suoi confini, inizia a parlare di un presente nuovo che usa lo spazio bianco non per omettere ma per estendere.
Io trovo che la Parrella sia una maga degli spazi bianchi e delle grandi estensioni dello sguardo, quelle stesse che si definiscono nella loro poetico abbraccio, appena dopo un momentaneo intralcio fisico o morale, a pochi passi da un orizzonte di novità e di mare.
Spero che possa essere per voi una buona giornata e che uno spazio bianco, tra tante parole e promesse disattese, vi regali la voglia di credere nei prossimi capoversi.
Camilla
Zelda was a writer
Questo libro l’ho adorato. Uno spazio bianco fatto di attesa e vita, senso di inaguatezza.
Ho preso alla lettera il tuo consiglio e sto provvedendo a recuperare Per grazia ricevuta e Tempo di imparare.
PS: trovo spiazzanti le tue puntualizzazioni, il tuo sondare la scrittura altrui.
…ma quella libreria, scusa?? #occhiacuore
Ma tu mi pensi??? ma davvero? mi ci ritrovo nelle tue parole… (egocentrismo cronico) … =) <3 infiniti
ah eeeeeeppppoi… son fissata con la creazione del mio ex libris… ci riuscirò…. prima o poi ora… ho in testa solo scoiattoli salterelli <3