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Qualche settimana fa, su Netflix, mi sono imbattuta in The 100 Years Show, un documentario breve ma intenso sulla vita dell’artista di origine cubana Carmen Herrera.
Era da giorni che mi ripromettevo di parlarvene perché trovo che possieda una grande carica di energia per tutti coloro che sono posseduti dal sacro fuoco della creatività ma che – come dare loro torto! – alternano fasi di grande slancio ad altre di bieca rassegnazione.
Carmen Herrera oggi ha 102 anni, più di sessanta dei quali passati a New York, e per quasi un secolo ha tenacemente risposto all’insopprimibile richiamo dell’Arte senza che nessuno – a parte il suo amatissimo marito Jesse Loewenthal – le tributasse una qualunque forma di stima e sostegno.
Il richiamo era più forte di ogni logica e del più nero scoramento. Vinceva sempre lui, in barba all’assenza di plausi e alla fatica del fine mese.
Ancora prima di qualunque consacrazione, degli agi, dei complimenti, per Carmen contava il fare. Un fare, tra le altre cose, poco chiaro ai più: astratto, minimalista e lontano anni luce dalla didascalia, dal coinvolgimento, dalla pacifica visione di panorami rasserenanti e impasti tenui.

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Il suo instancabile lavoro astratto l’ha resa a tutti gli effetti un’esponente di punta del minimalismo americano degli anni ’60 ma, a differenza dei suoi colleghi uomini, Carmen è stata riconosciuta dall’expertise con un abbondante scarto di una trentina d’anni.

Carmen Herrera. 50 King Street, NY, pre-Paris period. Credit Carmen Herrera
Il primo quadro l’ha venduto a 95 anni e da quel momento la sua fama è cresciuta a dismisura, permettendole non solo di farsi conoscere al pubblico di appassionati ed esperti come tassello mancante di una corrente ormai parte integrante della Storia dell’Arte ma anche di continuare ad assecondare quel richiamo che non l’ha mai abbandonata.

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La storia di Carmen Herrera ci racconta tantissime cose, alcune delle quali andrebbero appese al frigorifero, per ogni mattina in cui ci svegliamo vinti e neanche il caffè meglio riuscito riesce a ravvivare i nostri intenti più infaticabili e coraggiosi.
Innanzitutto ci suggerisce una volta di più che tutti i tasselli persi per strada dalla Storia (per volontà o dimenticanza) non sono meno importanti di quelli a cui si è conferita una collocazione onorevole e innumerevoli plausi.
Inoltre ci dice che il parere di chi analizza la nostra espressione creativo è contingente. Non voglio dire che sia da sottovalutare ma da prendere per quello che è: un parere – anche autorevole – in mezzo ad altri pareri, un’opinione da tenere in buon conto ma che non può in alcun modo svilire il nostro bisogno di continuare a provare, di credere in quello che facciamo, di rispondere senza indugio al canto delle nostre amate e odiate sirene.

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La storia di Carmen Herrera ci insegna che il silenzio mediatico, i numeri calanti, la fama recalcitrante non sono affatto cartine al tornasole della nostra supposta e auspicata autorevolezza, della bravura o delle possibilità ma solo dati mancanti, spesso neanche i migliori alleati per creare.
Perché c’è un fatto di cui si parla sempre troppo poco per i miei gusti: più sono alte le attese, più è incalzante il bisogno di non deludere le aspettative di una certa idea di noi, più è vitale rispondere agli appelli di chi ci fornisce le tre regole d’oro per essere i maghi dei un certo prestigio collettivo e meno sarà libero e feroce l’impulso, meno sarà vuoto il tempo molle della creazione, meno sarà chiaro il segnale che ci mandano le sirene.

Carmen Herrera with Jesse Loewenthal 1940s. Credit Carmen Herrera

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Non si può fornire il risultato ancora prima di aver iniziato a prendere in considerazione l’equazione. Questa cosa non dovremmo dimenticarla mai.
C’è un ultimo fatto che vorrei sottolineare.
Nella storia di Carmen Herrera esiste un angelo custode: suo marito Jesse. Fu lui a insistere perché non buttasse mai via nessuna delle sue opere, lui che assecondò ogni suo guizzo creativo e che continuò a credere alla sua bravura senza mai cedere al dubbio.
I due coniugi non erano affatto benestanti e l’arte di Carmen non produceva alcun tipo di introito ma era il suo ossigeno, la sua più grande ragione di vita. E Jesse, che amava Carmen, voleva con tutto se stesso che lei la respirasse a pieni polmoni.
Trovo che questa vicinanza innamorata (non per forza coniugale) abbia un valore grandissimo: avere qualcuno dalla propria parte, qualcuno che tifi per noi in maniera sconsideratamente libera e generosa ha la capacità di influenzare il cammino di un animo creativo in modo decisivo.
Molto spesso si dice che presenze simili siano una fortuna del cielo, su cui la volontà può agire fino a un certo punto, ma con il passare del tempo ho deciso che non sono poi tanto d’accordo.
THE 100 YEARS SHOW
(sito – facebook – instagram – twitter)
su Netflix —> qui.
Mi sono commossa, grazie!