Buongiorno a tutti!
Oggi non volevo scrivere un post: sono giorni di una stanchezza invalidante e di consegne da fare “per ieri”, quelle stesse che ogni libero professionista conosce perfettamente e a cui risponde con serafici “farò il possibile”.
Questo fare di tutto ha iniziato a minare gli entusiasmi e a farmi chiedere quanto il valore personale – o, per non voler apparire troppo supponenti, la solerizia – sia tenuta in buon conto, abbia un significato non intercambiale, non contingente.
Sono pensieri… Prendeteli per nuvolette inconsistenti, non cambieranno di una virgola l’impegno dei giorni in cui ci credi, come del resto non ammansiranno quelli in cui inveisci contro un supposto destino e i suoi paradossi.
Ma, intrecciate a queste domande aperte e perenni, ci sono le immagini di VIVA L’ITALIA – Le morti di Fausto e Iaio, visto martedì, per la seconda volta, al Teatro Elfo Puccini di Milano e firmato dalla bellissima regia di César Brie (fino a questa domenica).
Sono davvero incapace di tradurre in principali e subordinate il meraviglioso sentimento di bellezza e commozione che provo pensando a questo spettacolo tratto dal testo di Roberto Scarpetti. Sono tanto incapace da mettere le mani avanti e da chiedervi di perdonare i deliri sconnessi che seguiranno: è la seconda volta che tento di raccontarlo e non è detto che, arrivata alla fine di questo tentativo, non decida di buttare via tutto, come la volta precedente.
In Viva l’Italia ci sono intere scolaresche che vengono portate controvoglia dalle proffff. (non “professoresse” ma “proffff” con tante effe).
Il ragazzo di fronte a me chiede all’amico:
– Allora, cos’è ‘sta cosa di ‘sti due morti?
L’altro fa spallucce.
A spettacolo finito, lo stesso ragazzo ha gli occhi lucidi: è rimasto immobile per tutto il tempo. Mi piacerebbe sapere cosa pensa, mentre si alza e procede verso l’uscita, vorrei sperare che la dimestichezza al raggiro, la violenza più inveterata, le cieche lotte di parte, gli insabbiamenti e le connivenze di questo nostro adorato e strano Paese l’abbiano fatto arrabbiare enormemente, tanto da farlo diventare una forza di rivoluzione futura: un guerriero gentile, qualcuno che si chiede, che nonostante tutto cerca sempre di capire.
Viva l’Italia è l’altro ragazzo che mi raggiunge a spettacolo terminato.
Sento che dice al suo amico:
– Fighissimo, me lo sarei guardato da capo.
L’altro annuisce.
È il fruscio dei fazzoletti che vengono sfilati timidamente dalle borse e che accompagnano le lacrime della mamma di Fausto, un’Alice Rendini che regala volto e corpo a tutte le donne dei nostri anni ’70: mogli, madri, ragazze perse e giovani compagne di vittime dei cosiddetti Anni di Piombo.
È quella macchia di sugo di cui non ti scordi più, che con un geniale gesto teatrale aderisce al pavimento e diventa sangue, il sangue della nostra vergogna, della nostra incapacità fisica al dialogo pacato, al confronto, al rispetto.Viva l’Italia è la mia zona. La mia storia.
La chiesa di Casoretto, dove le suore mi costringevano ad andare a messa la mattina della domenica. I miei genitori si spaccavano la schiena tutta la settimana e la domenica non se la ricordavano la messa. Le loro continue preghiere laiche erano salmodiate lungo le vie delle infinite corse, lungo le traiettorie della speranza di farcela, di migliorare, di regalarmi la serenità.
In via Mancinelli mio papà ci lavorava. Mi ricordo benissimo il colorato murale che ricordava Fausto e Iaio.
Allora restavo affascinata dai colori e non pensavo a questi due figli di una Milano dilaniata dalle prese di potere e dalle lotte di campo. Non tanto diversi dai ventenni morti a Bologna e da quelli caduti sulle infinite arterie di un periodo tanto insensato e inutile. Tutti uguali nella morte violenta e improvvisa. A prescindere dalla fede politica, dall’estrazione sociale e da quell’ipotesi di futuro mai realizzato.
La mano destra di mio papà aveva un’unghia sconquassata. L’aveva distrutta da piccolo, quando lavorava come operaio in un’industria di collant per donna. Aveva fatto le medie, leggeva un sacco di libri e diceva sempre: devi studiare, così la vita non ti coglierà impreparata. Ho studiato tanto ma la vita mi stupisce sempre… Questa è una delle cose per cui rimpiango di non averlo qui: gli chiederei un parere su una tale schiacciante sconfitta, ne parleremmo, troveremmo un punto di vista capace di sedare il mio pungente fastidio.Ho deciso che nei prossimi giorni tornerò a trovare quel muro. Non ricordo se il murale ci sia ancora. Lo farò per il grande debito che abbiamo nei confronti della nostra Memoria patria, con l’imperdonabile errore che abbiamo compiuto trascurandola e permettendo che certe nefandezze potessero restare senza colpevoli, sospese in una dimensione pulviscolare, in attesa che abitassero gli angoli più remoti del nostro senso civile, della nostra umanità.
Viva l’Italia è uno spettacolo immenso. Romantico, politico in senso filosofico, vivo e pulsante come tutte le cose che stanno accadendo e di cui sei testimone. Potresti entrare in scena e indicare tutto con il dito: parabole di spari anonimi, aneddoti, nomi e vie. Potresti cantare anche tu Gianna di Rino Gaetano e aspettare con ansia l’arrivo della maturità, mentre ti prepari per andare a un concerto di blues.
I suoi attori sono meravigliosamente al servizio dei personaggi, splendidi tutti, nessuno escluso: Andrea Bettaglio, Federico Manfredi, Massimiliano Donato, la già citata Alice Redini e Umberto Terruso. La scena evoca l’intrico di vie del quartiere Casoretto e si espande oltre la città, coinvolgendo tutto il Paese, tutto il suo passato e tutto quello che verrà.
Si estende e parla all’Uomo, oltre ai dettagli della geografia, arrivando dritto al cuore delle più grandi questioni morali che lo abitano. Evocando pensieri profondi, non sciorinando mai lezioni da primi della classe.Per finire, mi pare di poter azzardare (o sperare?) che il vero padrone della scena sia il futuro, quello nuovo, diverso, migliore che una storia tanto faticosa da accettare e da ricordare può insegnare al ragazzino forzato alla visione dalla proffff.
Che sia un monito a farsi delle domande, a cambiare idea o a restare della propria, questo spettacolo.
Che ci spinga a cercare sempre di capire.
Buona giornata a tutti!
Camilla
Zelda was a writer
(ph. credits: Le foto di questo articolo sono prese da internet, ad eccezione della prima che ho scattato martedì a teatro)
In casa dei miei ho trovato il libro originale della storia di Iaio e Fausto, quello scritto dagli amici e famigliari che racconta la loro storia.
Che bella deve essere questa opera teatrale.
Per non dimenticare
Un abbraccio, cara Francesca!