– Signor Wenders, buongiorno. Mi scusi ma sono emozionata e mi trema il microfono.
Ho iniziato così la mia domanda al signor Wenders. Ripensandoci, avrei potuto preparare un’introduzione più onorevole ma avevo speso tutte le mie energie nel cercare di porgli un quesito intelligente e di spazio, nella testa, non ne restava moltissimo…
Ma andiamo con ordine.
Mi trovavo alla conferenza stampa di AMERICA, la mostra fotografica del regista-fotografo tedesco, ospitata (fino al 29 marzo) nella splendida cornice di Villa Panza, grazie all’infallibile senso artistico-organizzativo del FAI – Fondo Ambiente Italiano (facebook – twitter).
Fremevo da qualche minuto, volevo a tutti i costi confrontarmi con lui su uno dei mille pensieri che mi frullavano nella mente. La conferenza era stata piena di bellissimi paesaggi del pensiero (la foto qui sotto riassume i passaggi più emozionanti) e mi sentivo tanto immersa in quel flusso di energia che dovevo chiedere.
Il tempo era poco e avevo accettato il fatto che non avrei potuto soddisfare nemmeno una delle mie curiosità.
Poi, però, lui ha detto che gli sarebbe piaciuto sentire un’altra domanda, magari posta da una donna, e così mi sono alzata con uno slancio d’atleta che non credevo proprio di possedere e, con il microfono tremante, ho chiesto.
Visto che ritengo che la fotografia sia uno scambio di amorosi sguardi tra oggetto fotografato e colui che guarda (ok, prima di me lo credeva lui), volevo sapere quale tra i milioni di scatti incontrati nella sua vita – suoi o di altri – era stato in grado di scoccare la freccia del PUNCTUM, di guardarlo negli occhi e, paaam!, di colpirlo in pieno petto.
Il punctum di Wim Wenders è una foto di Salgado (avete visto Il Sale della Terra?), il ritratto di una donna del Mali cieca, ritratta nel 1985. Dice Wim che quando la vide impazzì letteralmente per quella posa piena di dignità ed eleganza, per quegli occhi che non vedevano ma che sentivano. Ve la lascio qui e vi chiedo di stare attenti perché è a tutti gli effetti una foto che trafigge…
America presenta 34 foto realizzate negli Stati Uniti in un arco temporale piuttosto ampio, dalla fine degli anni ’70 al 2003. Esalta vuoti e pieni, fasci di luce di una luce pulviscolare e significante, registra la granitica volontà della Natura di fare come vuole, nonostante tutti i fantasiosi capricci dell’Uomo, nonostante il suo superbo tentativo di cambiare geografie e carte in tavola.
America è un bellissimo viaggio condotto in solitaria, un viaggio della luce, del silenzioso attimo che precede o posticipa (questo decidetelo voi) un’azione umana, un passaggio, una storia.
Di certo è successo qualcosa, quasi sicuramente qualche altro fatto accadrà. Le immagini vi offrono il palco d’onore, la prospettiva del principe: nel silenzio rarefatto di colori saturi, di linee nette che si stagliano sul cielo e di piccolissimi dettagli in cui perdersi per ore, vi dicono: siete i padroni della storia che passerà/è passata di qui.
Si tratta di una magica sinfonia iconografica che non perde mai di vista l’intento narrativo: i luoghi – ci ha spiegato Wenders – sono custodi di storie mirabolanti, a noi il compito di interrogarli per farle venire alla luce.
Proprio per questo e per tutte le meravigliose sollecitazioni letterarie che si porta dietro, America – maestosa, orizzontale e in progressione come un piano sequenza congelato nella sua estensione più significante – mi è apparsa una Spoon River fotografica, capace di regalare allo spettatore la fiduciosa libertà del racconto.
Vi troverete, dunque, a scrivere le storie di tutte le tombe di un cimitero indiano, di tutti i fantasmi di una strada sospesa e silenziosa del Montana, di tutti gli avventori di un ex bordello invaso da una luce fredda e argentata. Portate un taccuino.
In tutto questo, cornice nella cornice, Villa Panza offre un grandissimo contesto espositivo.
Pare che lo slancio da collezionista del conte Panza fosse nato proprio dopo un viaggio in America, intorno alla metà egli anni ’50: questo è un innegabile punto in comune tra luogo e mostra ma, poi, tutto il resto sembra giocato sul contrasto, sul senso del Tempo e su quello della Storia che ognuno dei due eventi porta con sé.
Aver difeso la propria identità, il proprio carattere, ha regalato una fusione speciale e densa di significato, creando una mostra di secondo grado, un evento unico a livello spazio-temporale, come fosse il featuring di una canzone hip hop: in pratica, non potrete dire di aver ascoltato la canzone di Wim Wenders se non specificherete il featuring di Villa Panza (questa metafora la devo alla mia amica Justine).
Finisco con una frase che il dott. Magnifico, Vice Presidente Esecutivo del Fai, ha pronunciato durante la conferenza. Non riesco a riportarvela con le parole precise ma il senso me lo ricordo bene: “solo la Cultura può riempire i vuoti del Disumano”.
Sono molto impaurita da questo periodo spietato, veemente e caotico. Quello che mi spaventa di più è la velocità della sentenza sul pensiero. Torniamo a perderci nella contemplazione, iniziamo a leggere immagini, volti, libri o articoli di giornale. Non accontentiamoci più di una sola prospettiva. Un fotografo lo sa: un oggetto guardato da tanti punti di vista è capace di parlare di sé all’infinito.
Guardare è la forma più umile e magica di ascolto, di umanità e di pensiero. Guardare impone un lavoro decisivo sui nostri pensieri, ci fa analizzare il punto di vista degli altri, ci fa innamorare delle sfumature e allena vari muscoli, liberando finalmente dall’oppressione. Si dice che i nostri figli imparino molto di più da quello che ci vedono fare, rispetto a quello che ci sentono dire. Mai stata più d’accordo con un’affermazione pedagogica!
I nostri occhi sono armi buone, contro tutto le malefatte di certi giorni oscuri. Trattateli bene, non limitateli. Se vi faranno cambiare idea, non sarà mai una disfatta. Se vi faranno cambiare idea, sarete meravigliosamente vivi e in progressione.
E, in fondo, quello che vi auguro di più per il nuovo anno è di non smettere mai di guardare.
Grazie per essere arrivati a leggere fino a qui, mi scuso per la verbosità!
Camilla
Zelda was a writer
Per maggiori informazioni su America —> qui
La foto in bianco e nero è un ritratto della mia amica Frenci: l’ho incontrata per caso alla conferenza e grazie a lei, non solo non mi sono sentita più sola, ma sono stata ampiamente coccolata!
Non a caso “non smettere di guardare” (e di fotografare) è il motto che mi sono scelto per il 2015.
Rimango basito per la coincidenza di ritrovarlo in un tuo post.
Il problema è che tra “guardare” e “fotografare” non c’è in mezzo solo la “e”.
Almeno a me il premere quel pulsante richiede uno sforzo di volontà disumano.
Un’impresa titanica che mi faccia superare sia la paura di essere inadeguato a fissare sulla pellicola l’immagine che i miei occhi hanno formato nella mia mente che la delusione di non ritrovare poi nella foto finalmente e faticosamente scattata, quello che avevo invece visto.
Uffa.
Non riesco a trovare la via di uscita, spero che un anno basterà.
—Alex
Io mi affido alla magia: non sempre le mie intuizioni vengono soddisfatte ma talvolta le scoperte che la mia macchina mi regala superano di gran lunga ogni più rosea aspettativa!
Buon anno di sguardi, dunque!
Invece a me la macchina fotografica regala più delusioni che gioie ed io ho paura delle delusioni e sfuggo tutte quelle situazioni in cui potrei finire per rimanere deluso (lo so, è patologico…)
In ogni nodo grazie!
—Alex
Sei stata coraggiosa: a te tremava il microfono, io sarei svenuta di colpo!
Buona giornata :*
Ahahahhahaha!!!
ti ho letta tutta, sorseggiata come si fa con un buon barolo..
… con pause per assaporare e riflettere.
Brava Camilla, per le parole e le immagini. Magiche.
ciao
Benedetta
Grazie Benedetta!!!
BUONA GIORNATA :)
Quella foto…
Eh… <3