Giovedì sera, alla fine del BookeaterClub, Francesca è arrivata con un pacchettino per me.
Francesca è l’anima di Waxewul, un progetto che amo alla follia e di cui mi ero ripromessa di parlare mesi fa. Anzi, a dirla bene e proprio tutta, ho in bozze un post dedicato al suo sogno di colore e contenuto, scritto da Azeb e mai pubblicato per mancanza di foto che rendessero onore al testo. Foto che, mannaggia, dovevo scattare io… Mentre leggete queste parole, immaginatemi a capo chino e in ginocchio sui ceci.
Recupererò quanto prima ma l’importante è essere qui, oggi, in questa improbabile ora del giorno (mai scrivere un post dopo una certa ora del mattino, dicono gli esperti) a dirvi che Francesca mi ha fatto un regalo incredibile: mi ha permesso di calarmi in una cultura molto distante dalla mia, di renderla parte integrante del mio vissuto, di giocarci, di camillizzarla.
Waxewul fa questo: ti regala storie. Storie di provenienze e radici. Ti fa tanto innamorare del suo prodotto da volerne diventare parte attiva, da volerlo indossare come fosse traccia di un magico percorso, alfabeto di un messaggio atavico e prezioso.
È molto di più che moda. È cultura, è un lavoro bellissimo sulla memoria e sulla tradizione.
E così ho ricevuto il mio primo vero headwrap.
Come indossarlo? – mi sono chiesta. Non ne avevo la benché minima idea.
Siccome sono una noiosissima perfettina, mi sono sparata un’ora di tutorial tenuti da pazienti donne color ebano che, con invidiabile maestria, arrotolavano tessuti di ogni tipo attorno alla loro testa.
A un tratto, è come se avessi perso di vista il tessuto per concentrarmi su un fatto semplice e al contempo prezioso: non ci sono differenze nel nostro desiderio profondo di piacerci e di piacere. Cambiano le modalità, forse, ma non i meccanismi, non la speranza di regalarci, di sentirci coinvolti e amati.
Di fronte a quelle donne color ebano, la donna color lime che vi scrive all’improvviso si è riconosciuta e ha sorriso di cuore.
È stato in quel momento che ho capito: ho lasciato i tutorial e ho improvvisato. Quello che vedete nella foto è il risultato – forse non perfetto ma decisamente saldo – prodotto sul mio testone.
Il tessuto che vedete si chiama Java, me l’ha scritto Francesca: arriva dal Senegal e raffigura un magnifico pattern di pavoni nella massima estensione della loro bellezza.
In Occidente il pavone viene associato alla vanità mentre in Africa è simbolo di rinascita.
Quando ho letto la spiegazione di Francesca mi sono commossa perché in questo periodo sto lavorando silenziosamente proprio alla mia rinascita.
Nel pacchetto ricevuto c’era anche il quadretto che vedete qui sopra, raffigurante una donna chiamata Awa.
La tecnica usata per realizzarlo si chiama “Souwere” e viene sempre dal Senegal. In pratica, il soggetto viene dipinto sotto il vetro, credo al contrario, con una perizia e un amore per il particolare davvero incredibili.
È questo che si dovrebbe fare sempre di più con le cose lontane: cercare di avvicinarle, dare loro il benvenuto nella nostra esistenza, fare in modo che ci accrescano, che ci rendano cittadini non solo dei nostri (ahimè labili) confini ma di tutto quello che contribuisce a raccontarci, a renderci unici e al contempo simili.
Grazie a Franci, grazie con tutto il trasporto di cui sono capace: progetti come il suo mi rimettono al mondo. Progetti come il tuo mi fanno sperare.
Buona serata a tutti,
Camilla
Zelda was a writer
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