Ho letto recentemente una dichiarazione di Cesare Zavattini sulla presunta morte del cinema italiano: l’intellettuale riteneva che le cose fossero drasticamente peggiorate da quando “gli autori avevano smesso di prendere il bus”. Un convinto neorealista non avrebbe potuto – né dovuto – affermare che questo e, mentre mi avvicino alla Pasticceria Cucchi – luogo proposto dal regista Matteo Pellegrini per la nostra intervista di THINGS – quella frase torna immediatamente ad abitarmi la mente.
L’ultimo semaforo rosso che ci divide mi permette di fare un conto di massima su quanti bus abbia preso Italian Movies (facebook), il primo lungometraggio del mio ospite, in queste ore nelle sale italiani. Moltissimi, dice il mio calcolo. Bus e scuolabus, a volte rincorsi senza fiato, altrettante traghettati da una lenta e nostalgica canzone.
La Pasticceria Cucchi – che per una discreta parte di vita, è stata il quartier generale di Matteo per incontri e idee – ci accoglie silenziosa. Siamo gli unici che hanno l’ardire di scegliere un posto nella saletta interna, mentre un mondo più assennato si gode l’insolita arietta fresca dei tavolini all’esterno.
Mi piace l’atmosfera retrò di questo locale simbolo della città: voglio parlare e scattare foto senza ritegno. Ordiniamo cappuccini, panini al tonno e acque con le bollicine e, nell’attesa, inizio a interessarmi all’oggetto che mi guarda dal tavolo: una Parker 51, la penna stilografica vintage da cui Matteo non si separa mai.
La penna è l’oggetto cardine di una passione costante e sempre assecondata, quella della scrittura. Poi sono arrivate le immagini, da subito, già in terza elementare con la sperimentazione del primo cortometraggio. La scintilla dell’amore gli si pianta in pieno petto e da quel momento, ogni secondo disponibile, è dedicato al cinema, il migliore compendio di tutte le arti.
La stilografica diventa naturalmente una caméra-stylo, con buona pace di Astruc, Bazin e dei Giovani Turchi.
Lo segue sempre e appunta le fermate del bus di ogni pensiero, di ogni idea interessante.
Bisogna essere preparati all’arrivo di un’idea, mi dice, perché è istantanea nel palesarsi ma anche nel cercare altri lidi. E quella penna pare aver registrato tutto: pagine di tentativi, di studio e lavoro, alla perenne luce di un amore sconsiderato per il mezzo ma anche di una lucidità vigile che l’ha portato a esperire percorsi paralleli come quelli della pubblicità e dei videoclip.A un tratto m’immagino che questa Parker 51 abbia appuntato anche l’intuizione del suo primo lungometraggio, Italian Movies, e così mi sembra già un’amica, un oggetto degno di molto rispetto.
Dieci anni fa, Matteo Pellegrini era in uno studio di registrazione per lavoro, alla fine della giornata incontrò un filippino che iniziava il suo turno serale di pulizie. Da questo incontro gli venne l’idea di un manipolo colorato e attivo di immigrati che decide di ammutinare lo studio di una soap-opera languida e seriale per costruire un piccolo business notturno, di video e testimonianze.
Un decennio più tardi, un ministro congolese nell’attuale governo Letta e moltissime (troppe) polemiche sull’immigrazione, Italian Movies vede la luce con un percorso tortuoso e sofferto, degno dei più grandi film.
Gli chiedo quale sia il messaggio più forte del film, quello capace di valicare le infinite lungaggini della sua realizzazione, mi risponde che, a prescindere da tutto, è un grande invito a osare, a rilanciare la sfida con se stessi, oltre ogni ragionevole e svilente dato di fatto sociale. I protagonisti di questo film dispongono di pochissimo eppure lottano: il loro progetto di guadagno diventa piano piano un desiderio di comunione, di vicinanza, di espressione. Il loro è il cammino del cuore oltre ogni ostacolo.
Questo, aggiunge Matteo, potrebbe essere uno sprone semplice ma essenziale per tutti noi: cercare di andare avanti insieme, cercando la ricchezza nella differenza, il nuovo nello sconosciuto.Italian Movies viene spesso equiparato alle espressioni più agrodolci della commedia inglese, ci si complimenta con la sua splendida riuscita attribuendole un sapore internazionale, frasi come “non sembra Italiano” sono davvero frequenti. In realtà c’è molto di autoctono, per esempio la crudezza della commedia italiana anni ’60, che ha avuto una parte importantissima nel lungo lavoro ispirazionale e di conseguente stesura dei suoi autori (il mio ospite, insieme a Giovanna Mori e Paolo Rossi).
Questo è un punto interessante, su cui non smetto di tornare nelle mie considerazioni: complimentarsi per un bel film, affermando che non sembra affatto un prodotto italiano, dovrebbe farci riflettere lungamente sullo stato della nostra cinematografia e sulla percezione che ne ha lo spettatore.
Il film è dunque nelle sale, schiacciato da logiche da botteghino che non voglio neanche sondare, l’unica sua forza è il passaparola.
Sono certa che anche Zavattini ne sarebbe fiero: a un tratto, disinteressandosi dei bus, scorgerebbe il volo sconnesso dei personaggi di Miracolo a Milano. Un fondale irreale su una città dai colori saturi e la voglia, dirompente, di nuovi slanci verso il futuro.
“Tutti insieme, parti uguali, solo così si va avanti“.
Buona giornata a tutti!
xoxo
Ecco. Italian Movies. L’ho visto finalmente ed è … oltre che divertente anche intelligente, propositivo e originale. Ironicamente suggerisce una Italia che può essere diversa. La positività del film è eccezionale, ed è a cosa che più mi ha conquistato, ovviamente!
Se ti va, ne ho scritto qui. Di progetti così più se ne parla … http://matinside.tumblr.com/post/54983763259/stranieri-film-torino-famiglie-intreccio-primo
baci
marta