Cercherò di non essere melensa, cercherò di tenere duro e non dirò tremila volte che questa ragazza – sì, Giulia, la nostra libraia di Auckland – io l’adoro. Non sarebbe professionale (???) e poi la reiterazione del complimento indebolirebbe l’intenzione (eh?!).
Vabbeh, lo dico: IO ADORO GIULIA e sono sicura che condividiamo tutti il sentimento di gioia che le sue parole sono sempre in grado di regalare!
Ecco dunque una nuova puntata di THE BOOKSTORE CHRONICLES! Questa volta si parla di traslocatori polinesiani…
Mille baci a tutti e buona giornata!
Camilla
“Addio” disse sottovoce. Era un saluto rivolto non alla casa, ma a lei che ci aveva vissuto”
Haruki Murakami, 1Q84
Di traslochi, in vita mia, ne ho fatti almeno dieci.
Ho cambiato casa nella città in cui sono nata, più di una volta. Poi sono andata all’università e per ben tre volte mi sono trascinata dietro il mio bagaglio da studentessa pieno di foto, libri fotocopiati e e soprammobili di dubbio gusto.
Ho vissuto a Parigi, Barcellona e Berlino e non mi sono mai accontentata di abitare una sola casa: non riuscivo a decidermi tra la rive gauche e la rive droite e, per provarle tutte e due, ho traslocato in taxi. In terra catalana, prima ho vissuto con Romeo, un gatto rosso la cui mamma era partita per il cammino di Santiago, e poi ho deciso di tentare l’avventura di un appartamento nel Barrio Gotico con otto coinquilini. Rimpiangendo il mio Romeo per tutto il resto del soggiorno.
Nella capitale tedesca, non ho mai avuto dubbi su quale parte del muro scegliere (quella a est): dopo qualche mese nella casa di una studentessa di recitazione di Amburgo, ho deciso che ne volevo una da inventare da zero e, proprio quando avevo finito di pitturare la parete del mio salotto di un bel blu pavone, era già ora di prendere l’aereo e di volare dall’altra parte del mondo.
Sono abituata ai traslochi e me ne vanto. Mi piace entrare in un posto nuovo e farlo mio, certo, ma soprattutto mi piace scoprire le tracce lasciate dagli inquilini precedenti, mi piace immaginare la loro storia, mi piace trovare un segno sul parquet e inventarmene l’origine. Pensare che appoggiato su un mobile c’era un vaso pieno di margherite portate in dono da un ospite inatteso. Convincersi che la vernice scrostata sul balcone corrisponde ai gomiti della ragazza che ogni sera spiava nel buio il vicino di casa del quale era innamorata.
Quando entro in una casa, la esploro, ci faccio conoscenza e poi inizio a completare la sua anima, aggiungendoci minuscoli frammenti della mia vita. E quando infine la lascio, sono felice di aver contribuito e non smetto mai di chiedermi, con un misto di nostalgia e curiosità, chi starà guardando ora il Sacré Coeur dalla finestra e chi starà leggendo il suo libro preferito mentre da lontano riesce a scorgere le luci della torre della televisione di Berlino.
Insomma, cari miei, tutta questa premessa per dirvi che se c’è da fare pacchi, organizzare scatoloni, e montare mobili, io combatto in prima linea con l’aria di sufficienza di quella che ormai ha visto proprio tutto e che non si spaventa neanche di fronte a un milione di tazzine da incartare una per una con le pagine di un quotidiano.E adesso… Sto per fare una confessione: fino a qualche settimana fa, io non avevo idea di che cosa fosse un vero trasloco.
Per fortuna la maggior parte di voi ha capito che la mia filosofia di vita è “solo gli stupidi non cambiano idea”. Altrimenti infilerei una figuraccia dietro l’altra.
Che cos’è successo, quindi, per far crollare la mia inossidabile immagine di dura scaricatrice di pacchi e scatole di cartone?
Semplice: mi sono ritrovata a lavorare spalla a spalla con una squadra di traslocatori polinesiani.Forse è il caso di fare qualche passo indietro.
La libreria ha cambiato sede.
Quando il capo mi ha chiesto di dare una mano, ho alzato le spalle e, con il mio sorriso sardonico, meglio conosciuto come “faccia da schiaffi”, ho sbuffato dicendo “Ma certo, che sarà mai! Ventimila libri? Ehhh, voi vi spaventate per niente! Se sapeste quante volte ho traslocato!!
Forse avrei dovuto prestare più attenzione al suo sopracciglio destro che si inarcava incontrollabile.
“I turni? Ma scherziamo? Io sono disponibile tutti i giorni, non preoccuparti. Ci penso io, faccio tutto io!”
Un delirio, praticamente.
Traslocare il contenuto di una libreria, come qualsiasi persona saggia può immaginare, è massacrante. In un pomeriggio intero, se ti va bene, riesci a svuotare al massimo una decina di scaffali. Senza considerare i libri rari e preziosi, che vanno separati, incartati con dei tessuti speciali e trattati con estrema cura.
Poi arriva la parte in cui gli scatoloni devono essere spostati. La parte dei traslocatori polinesiani, per intenderci.
La prima regola degli scatoloni? Se proprio devi metterci dei libri, alternali con cose più leggere.
In una libreria, che cosa puoi alternare a pesanti tomi rilegati in cuoio? Enciclopedie con la copertina di legno (sì, proprio di legno) e gli angoli rinforzati in ottone?
Il risultato: scatoloni pesanti quanto una mandria di giovani elefanti.
Immaginate di doverli spostare – perché NO, voi non avete bisogno di aiuto – con i suddetti polinesiani che guardano, se la ridono, e di scatoloni ne portano tre alla volta, mentre voi siete lì che ansimate dopo averne trascinato uno per una distanza che vi sembra infinita.
Beh, a dispetto delle apparenze, voi non avete idea di quanto, alla fine, io mi sia divertita.
Sono stati cinque giorni intensissimi in cui io e i miei colleghi (no, non i polinesiani, gli altri) abbiamo bevuto litri di caffè, ascoltato musica swing e mangiato pizza con tempeh e coriandolo, seduti sul pavimento macchiato da sagome più scure, lì dove una volta c’erano i mobili.
Durante uno di quei pranzi, mentre loro se la ridevano perché continuavo a dire che no, quella pizza non era poi così male, io ho avuto come al solito uno dei miei momenti riflessivi.
“Sto mangiando una pizza improbabile con dei kiwi di mezza età e siamo tutti seduti sul pavimento della libreria nella quale lavoriamo. Domani o dopodomani, tutto ricomincerà in un negozio nuovo”.
Ho pensato alla situazione e ho riso da sola. Se me lo avessero detto un anno fa, chi ci avrebbe creduto?
Sono abituata ai traslochi e me ne vanto.
Questa volta però, prima di uscire dal negozio ormai vuoto, ho salutato i miei fantasmi.
Giulia
The Blooker
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