Se dovessi fissare una parola per il mio anno nuovo, sceglierei senz’altro “consapevolezza”. Ma so già che non mi basterebbe, so che avrei bisogno di aggiungerne continuamente di nuove ai miei intenti. Se potessi spingermi oltre il gioco motivazionale che gira da qualche giorno sul web (una parola per l’anno), penso che aggiungerei anche “presenza” e “partecipazione”. Poi, trasgredendo alle sue regole, tenterei l’azzardo di una frase: “credere fermamente che il mio agire possa fare la differenza”. Ecco cosa spero, non tanto per questo ma per i prossimi anni.
In questi ultimi mesi, ho cambiato la mia vita in cose talmente piccole da non sembrare sostanziali. Per me, invece, hanno spostato montagne. Mi sono assunta responsabilità che reputo grandi e che spesso mi fanno tanta paura. Ho deciso di eliminare tutto quello che mi fa perdere tempo ed energia, iniziando a considerare le mie velleità delle piccole fortune da difendere.
Non so come andrà, non voglio che questo anelito di libertà mi catapulti in nuove gabbie. Ma so – l’ho sempre saputo – che la mia nuova consapevolezza, il costante bisogno di allenare la mia anima critica, di continuare a pormi delle domande, di lavorare sulle mie paure e sui miei limiti saranno alimentati da un solo vizio, irresistibile e pulsante: quello della cultura.
Ed è proprio sulla scorta di questo vizio irrinunciabile che voglio parlarvi di una serata speciale, vissuta martedì al Teatro Elfo Puccini, un evento a sostegno di questa immensa gioia performativa e performante di Milano e dell’Italia tutta.
In pratica, a fronte di un pagamento straordinario, si è potuto condividere un aperitivo con attori e maestranze, assistere allo stratosferico Vizio dell’Arte e partecipare a una foto collettiva che, obiettivo sul palco verso la platea, ha scalfito la religiosa presenza della quarta parete per ritrarci tutti insieme.
Martedì sera, abbattuta la quarta parete e aperto il sipario su un problema parecchio invalidante come quello dei tagli al teatro, i confini si sono dolcemente amalgamati e tutto – ancora una volta – ha parlato l’unica lingua possibile in questo momento: quella del fare. Del fare con passione, del fare meravigliosamente. Spendendosi, diffondendo, abbracciando.
In questo senso, a fronte dei problemi gestionali dello scorso anno, e per tutto quello che la cultura continua a significare per un quotidiano tanto confuso e gridato come il nostro, ho pensato che sarei arrivata qui, a scrivere due righe – terribilmente prolisse, me ne scuso – che vi raccontassero come vedo io il teatro e che vi spingessero a prendervi la responsabilità di un piccolissimo pezzo di cultura che caratterizza i nostri giorni.
Di qualunque genere ed entità sia il vostro vizio della cultura, sia esso grande o microscopico, amato dai più o fieramente indipendente, vi chiedo di sentirvi mecenati del nostro tesoro più grande: la fantasia.
Perché? Perché c’è in gioco il nostro stupore, il nostro bisogno di entrare in contatto con la magia, il nostro sacrosanto diritto all’emozione. Perché, per realizzare imprese mirabolanti, bisogna credere nell’irrazionale. Perché, per modulare affermazioni importanti, bisogna essere educati all’ascolto di voci sapienti. Perché certi nodi che albergano nell’animo vanno sciolti: se lasciati crescere, diventano pericolosi, inaridiscono, rendono tristi, confusi, disperati.
Non importa di quale tipo sia il vostro investimento, ma una cosa è essenziale: solo la partecipazione effettiva, complice, innamorata può garantire la sussistenza di enti propulsori di ossigeno per la mente e per il cuore.
Grazie alla mia amica Marilena, da ben tre stagioni frequento l’Elfo Puccini.
Sono sempre mediamente squattrinata ma al mio abbonamento annuale rinuncio mai: 7 spettacoli per 70 euro, per spettacoli da prenotare entro la prima settimana di programmazione.
Io ho un mentore di fiducia, molto competente e solerte, ma devo dire che, una volta individuato il vostro posto della cultura, sarà molto semplice immergervi nelle sue proposte, lasciandovi ispirare dalla semplice curiosità o dal caso.
Insomma, giusto per sfatare il mito che il teatro costi prezzi indicibili.
Sono una pigra cronica ma ho grandi progetti per la mia mente. Il teatro è la mia palestra.
Con lui ho pianto lacrime amare e ho riso a crepapelle. Ho amato di un amore straziante e mi sono trovata nel mezzo di dilemmi di una complessità inusitata. Ho incontrato gli occhi di qualche attore che poi erano quelli del suo personaggio, mi sono nascosta nel buio rincuorante della platea.
Certe sere, sulla via di casa, ho portato alcune storie sulle spalle, grandi e pulsanti come le stelle che d’estate ricoprono i cieli delle isole piccole.
Con il teatro, ho vestito i panni di personaggi lontani da me mille miglia. Grazie al teatro li ho capiti o li ho odiati, dando un nome alle mie paure, scusandomi, redarguendomi.
Il teatro mi ha fatto restare a bocca aperta. Mi ha spellato le mani da tanta era la gioia di esserci stata e di dimostrarlo con il mio applauso. Mi ha messo sete e fame. Mi ha distrutto la schiena e le gambe. Regalandomi la voglia di stringere le mani, di fare i complimenti, di accendere la luce e incontrare chi mi aveva reso tanto felice.
Il teatro non mi ha mai fatto sentire sola. Mi ha reso solo più consapevole del fatto che dire grazie è bellissimo, che partecipare al buio è sensazionale almeno quando farlo sotto i riflettori.
Questo a dirvi che il teatro non è affatto noioso.
Con il teatro ho letto tantissime parole.
Le ho lette sulle bocche di chi recitava, nei silenzi di un palco pieno di non detti, tra le pieghe di una tenda barocca. Mi sono innamorata di testi pazzeschi, ho ragionato sulle mie parole, su quanto sia importante modularle con cura, su quanto siano belle se ascoltate dalla voce di altri.
Con il teatro ho ragionato su come tutto sia già stato detto e fatto ma su come solo alcuni riescano a dire e fare tutto il già detto e fatto in modi superbi, unici, corroboranti. In questi particolari casi, io mi gaso. Torno a casa e non dormo.
Potrei continuare all’infinito a dirvi quanto questa presenza conti per la qualità della mia vita, quanto mi faccia sentire coinvolta e distante (coinvolta e distante proprio come il Barone Rampante), importante e sollecita, fieramente impegnata nell’aggiungere nuove risposte alle domande che forse non mi porrò mai. O forse sì.
Ma oggi, mentre mi riprometto di tornare a scrivere di teatro con maggiore costanza, vorrei dirvi che la più grande speranza dei nostri giorni risiede in ciò che ci accende, che ci vede presenti e attivi, in quello che ci fa cambiare idea senza dirci che avevamo sbagliato, che ci regala l’occasione di sorridere senza smettere di farci pensare, in tutto quello che ci coinvolge in un abbraccio tenace e appassionato, un abbraccio che ci custodisca a ogni passo ma che non ci ingabbi mai.
Dicono che questa sia l’espressione più sublime del vero amore… In tal caso, posso dichiarare senza ombra di dubbio che il teatro mi ama.
Che sia una buona giornata per tutti voi!
Ci vediamo stasera, al BookeaterClub, dalle 19 in Rizzoli Galleria.
Camilla
Zelda was a writer
(alcune foto di questo post sono tratte dal profilo facebook del Teatro Elfo Puccini)