Esiste nell’Uomo un viscerale bisogno di essere accettato e amato.
Esiste e si ribella di continuo, in perenne bilico tra una voce, titubante e flebile, che gli suggerisce di seguirsi sempre e comunque – anche nell’anfratto più buio della propria differenza – e quella, ben più smargiassa, che decreta come inappellabile il pensiero della maggioranza.
Frankenstein, il Racconto del Mostro – in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino, ahimè, a domenica – ci parla di uno smisurato bisogno di accettazione. Ed è forse per questo motivo che dal 1818, anno in cui Mary Shelley lo scrisse, Frankenstein, ovvero il Prometeo Moderno continua ad apparirci sempre tanto urgente e attuale.
Se attraverso il dottor Vittor Frankenstein, il Prometeo saccente, ci troviamo di fronte all’attualissimo delirio di onnipotenza e controllo che l’Uomo alimenta ciecamente, appellandosi a una supposta necessità di conoscenza e sviluppo; grazie al Mostro, alle sue privazioni e ai suoi patimenti, sperimentiamo un tracimante desiderio di comprensione ed empatia, in un mondo vittima delle prime impressioni e, per questo, incapace di fermarsi a contemplare altre idee e altre forme.
Le parole di questo libro descrivono con perizia chirurgica la paradossale dinamica per cui colui che viene additato come mostro ad un tratto si convince di esserlo a tutti gli effetti e decide di agire come tale, seminando distruzione e dolore, fino al tentativo – impossibile, quasi più sconsiderato di quello del suo demiurgo – di sovvertire il sistema che lo ripudia.
Lo spettacolo a cui assisterete è tutto nella voce di Elio De Capitani.
Mai sentita una voce tanto limpida e al contempo corposa, capace di raggiungere le profondità delle caverne platoniche per poi risalire, in alto, senza contraccolpi, fino alle più rincuoranti corde della leggerezza.
Una voce umana e disperata, piena di dubbi e di paure, necessitante di un cenno, di un abbraccio, di essere ascoltata, accolta, capita.
Una voce che ci porta in ogni tempo e luogo, fino alle banlieue parigine e in tutte le aree più emarginate del mondo. Una voce che ci dice con chiarezza che moltissima parte dei mostri di oggi è una diretta responsabilità del nostro modo cieco e approssimativo di guardare alle sfumature o di non contemplarle per niente.
Quando, in piena lettura, il mostro di De Capitani grida che non è cattivo ma è costretto a essere tale perché sente su di sé un carico d’odio insopportabile, viene da pensare a quanto buona parte dei discorsi sui nemici del nostro oggi riveli una preoccupante deriva di umanità, a quanto confini la complessità nell’angolo più dimenticato del pensiero per trovare a tutti i costi un capro espiatorio, meglio se diverso e incapace di rientrare nei nostri rincuoranti – ma anche piuttosto fragili – parametri.
Vi consiglio con tutto il cuore di non perdere questa poesia.
Buona giornata,
Camilla
Zelda was a writer