14 Giugno 2012

A merenda con Dino Buzzati

Camilla - Zelda was a writer

Daily thoughts Stuff

Buongiorno miei cari!
Perdonate il ritardo con cui mi paleso, ma l’attacco notturno di un lunghissimo e lesto Gregor Samsa (si legga: scarafaggio), mi ha impedito di essere lucida.
Pulisco casa da stamattina. Poi spruzzo roba tossica (perdonatemi, ma la paura non fa di me una persona intelligente), strizzo, striglio, raglio e pure mi dolgo. Niente da fare: per quanto mi riguarda, non esiste essere vivente (è vivo, no?!) che mi riesca ad inquietare a tali livelli. Mi rendo conto che c’è di peggio in un mondo di omicidi e raggiri, ma il terrore è un fatto irrazionale con cui bisogna saper convivere, tra pacata accettazione e sani tentativi di correzione.

Il mio post di oggi era di pura condivisione, ma la stanchezza e l’orario non mi rendono incisiva come vorrei e così colgo l’occasione per regalarvi un racconto del grandissimo scrittore Dino Buzzati. Uno dei tesori nel mio cassetto della Memoria, scoperto in precocissima età, ma amato con trasporto incondizionato dopo i trent’anni.

Tempo fa avevo un piccolo blogghetto su myspace. Lo so, myspace è il mesozoico del social networking… ma, a meno che non abbiate 16 anni, il nome vi dirà di certo qualcosa…
Ad ogni modo, non si trattava di un blog “articolato” come Zelda: forse più personale e di certo meno costante. Anche in quel frangente ricordo di aver condiviso Inviti superflui, un vero esempio di bellezza formato bonsai per tutte le stagioni!
Mi sono accorta proprio ieri di non trovare più la copia dei Sessanta racconti da cui è tratto, copia che custodivo gelosamente e che forse avrò prestato in un tripudio di entusiasmo. Ieri, comunque, quel racconto mi mancava e così ho pensato di rileggerlo.
Lo lascio qui, in questo posto di rincuorante condivisione. Prendetevi qualche minuto per farlo vostro… ad alta voce sarebbe perfetto, ma mi rendo conto di chiedere troppo. Nel mio cuore so che, sussurrato o letto nella mente, vi regalerà una fantastica emozione da pomeriggio inoltrato.

Un giorno vorrei poter incontrare certi amanti delle parole che gravitano spesso da queste parti. Un tavolaccio di legno, qualche buon dolce  e litri di caffè. Un libro ad incontro. Scandagliato, annusato e pure baciato.
Non sarebbe meraviglioso?!
Chissà che ciò non avvenga molto presto…

Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.
Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.

Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.

Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.

Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.

Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.

Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.

E non diresti “Che bello!”, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.

Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.

Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.

Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina.

E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.Che sia un lieto pomeriggio per tutti voi!
xoxo

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La foto in bianco e nero è tratta dagli Archivi Alinari. Ne trovate altre, non meno entusiasmanti e letterarie, cliccando qui.
Come testimonia la foto, per la raccolta citata lo scrittore vinse nientemeno che il Premio Strega.

19 pensieri su “A merenda con Dino Buzzati

  1. Bri

    Che poesia questo racconto… è tenero quanto triste allo stesso tempo;
    non ho mai letto niente di Buzzati, devrò rimediare :*

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  2. pa

    tu non hai idea di quante volte nella mia vita in quante età diverse ho letto e straletto questo racconto e di quanto mi piaccia. suggestivo, malinconico, vero, sincero, trasgressivo buzzati.

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  3. Sabrina

    ciao Zelda, seguo da poco il tuo blog… j’adore! Grazie per la poesia che regali con i tuoi post, con immagini e parole… Sono proprio contenta di aver scoperto quest’angolo di bellezza sussurrata :)
    Non conoscevo questo racconto di Buzzati perciò, anche per questo, grazie :)

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      1. Sabrina

        Uffi! Ma non son brava in queste cose… Un challenge (mi piace questa parola ;))! Mi leggo per benino i tuoi post a riguardo e vediamo, altamente improbabile che io e te si finisca a tavola insieme in questo modo :)))
        Intanto… un sorriso di sole per te,
        Sabrina

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  4. Flo

    Condivido e capisco la paura per quelle schifezze! Io ho risolto, quando avevo di questi problemi,non in questa casa per fortuna, con le tripoline della bayer!
    Poi dovresti avere l’accortezza di tenere gli scarichi chiusi, compreso quello della doccia. Io tengo uno sturalavandini sul tappo……
    Mamma mia come ti capisco :(

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