Lunedì sera, in occasione del #MeetTheMediaGuru (facebook – twitter), ho avuto la fortuna di sedermi a pochissimi metri da Francis Ford Coppola.
#meetCoppola, organizzato in collaborazione con Apt Basilicata, partiva da un focus di grandissima attualità: le radici.
È davvero possibile guardare ai lidi lasciati e persi nella memoria degli avi per incontrare un futuro più complesso e ricco di opzioni? Le radici sono realmente il tappeto elastico della nostra estensione futura?
Lasciamo le domande in sospeso e procediamo nelle riflessioni sulla serata.
Francis Ford Coppola è di origine lucana. Si è presentato di fronte a un Teatro Dal Verme farcito di persone provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo. Moltissimi i lucani, altrettanti i giovani. Tanti gli occhi lucidi che si stagliavano lungo una platea brulicante di applausi, di gratitudine, di risate.
Mi sono chiesta che parte di mondo sedesse su quelle poltrone che si perdevano a vista d’occhio, mi sono domandata quale urgenza avesse spinto ognuno dei partecipanti all’infinita coda che li attendeva all’ingresso.
Sarebbe stato bello impegnarsi in un’inchiesta sulle motivazioni di ognuno di noi: molto spesso si dimentica che la fortuna di un grande affabulatore risiede nella carica di emotività e di ragioni personali che spinge il suo pubblico ad ascoltarlo. Si tratta ancora una volta di una magia, di qualcosa di sconfinatamente atavico e umano.
Da piccolo, i genitori di Francis – padre lucano e madre campana – gli ricordavano la sua fortuna: da americano viveva la pletora di occasioni che un Paese tanto esteso ed eterogeneo avrebbe potuto regalargli ma, al contempo, la sua Italianità gli avrebbe permesso di riconoscere la bellezza in ogni dove, di stimarne il peso e l’importanza.
Aveva un superpotere: l’essere italiano. O, per meglio dire, aveva il superpotere di lavorare su una potente miscela che prevedeva anche l’innegabile valore aggiunto dell’essere italiano.
Francis è stato un treno in corsa. Ci ha raccontato una vita epica, una vita che è iniziata in un certo senso qui (anche se lui è nato là) e che poi è continuata in America, tra i registi più grandi di Hollywood, nel pieno di ormai 5 generazioni dedite alle cose d’arte, sulle copertine dei più grandi giornali, tra fatti che brillano e che sono lontani anni luce da noi.
E noi, che viviamo la sindrome dei perenni cugini di quinto grado, ci siamo immediatamente sentiti figli. Figli di tantissime di quelle cose belle e reali da farci gonfiare il petto di gioia.
A un tratto, eravamo tutti fieri dei lampascioni, di Gaetano Donizetti, dei paesi piccoli che danno nomi buffi ai suoi abitanti, del profumo della terra che ci ha fatto nascere, della gioia del tentare, del sentimento di quel NOI che dobbiamo alimentare costantemente, visto che troppo spesso lo perdiamo nell’angolo più buio della casa.
Fieri che uno di noi ci portasse in giro nel palmo della sua mano grande e che ci pensasse come fratelli, non come cugini di quinto o sesto grado.
Ma, a pensarci bene, cosa ci ha reso più coinvolti e fieri?
Ci ha colpito la complessità dello stare al mondo che solo esseri tanto volitivi e coraggiosi non temono di mostrare. Ci ha colpito l’elogio della differenza, dell’essere in mezzo a milioni di fattori: non una sola terra, non una sola direzione, non un solo amore.
La complessità degli ingredienti che si perdono nella miscela ma che non scompaiono ci ha, per così dire, rilassato.
Non contava più essere registi o italiani ma la complessità di cui si è portatori reali, la curiosità con cui si viaggia nelle cose della vita, l’impegno con cui si assemblano le mille porzioni di sé, i mille amori, le mille discendenze, la variegate forme di paternità e di figliutine, tutto quel flusso di vita in cui ci si imbatte per caso o volontà e a cui si regala un senso forte, un significato portante, essenziale, unico.
Sono grata alla vita per avermi fatto nascere in Italia e ho già pronta la valigia per conoscere la Basilicata. Non la conosco e voglio vistarla come si fa con il parente lontano, quello che non hai mai visto ma che sai essere della famiglia.
Sento che la mia terra mi accompagnerà sempre e che sempre mi regalerà un punto di vista speciale sulle cose.
Ma sento dell’altro.
Sento che la cultura, il chiedermi, il non fermarmi mai sono la mia vera patria, sento che con loro starò bene ovunque e che la mia curiosità non avrà mai un passaporto certo, sarà sempre cittadina dei luoghi in cui si sente di albergare.
Lunedì, mentre Francis parlava di Aleppo, si spingeva fino ai Giovani Turchi e al loro André Bazin, volteggiava senza ostentazione tra nomi e riferimenti tra i più disparati, ho pensato a quanto il senso più profondo del migrare ci porti alla forza dirompente del racconto, al suo bisogno estremo di catalogare esperienza, di lavorare sullo sviluppo, di ipotizzare un finale, di tentare l’impresa dell’immortalità.
Il movimento è la vera essenza dell’Uomo. Il suo perenne movimento (fisico o mentale, poco conta) lungo le infinite possibilità di un mondo che è (o dovrebbe essere) di tutti, nel pieno di “storie di storie”, forte dell’amore e della tenerezza che gli muovono le sue radici, ostinatamente diretto verso un riscatto, verso un’esistenza che lo renda migliore, proteso, finalmente felice.
Per rispondere alle domande che mi sono posta circa 4 milioni di parole fa, io penso questo: il posto che ci partorisce è il bellissimo terreno di un cammino lungo e senza regole certe. Non è tutto, è la partenza. Il primo assaggio di una torta grande, il primo rincuorante fremito di un bacio appassionato.
Io penso che il ritmo dell’eloquio di Francis arrivi dall’ascolto di tantissima musica, che l’amore per le connessioni più disparate sia il frutto di una vita spesa in mezzo a due mondi tanto diversi come l’Italia e l’America, che il cuore con cui ci ha parlato l’abbiano allenato gli anni, l’occhio, le inquadrature, l’amore per l’Uomo e quello per il palco, per la platea. Penso che le radici diano forza al fusto ma che poi ci sia tanto altro, così meravigliosamente ingarbugliato, a definire l’estensione dei nostri rami.
Perché siamo davvero di dove vogliamo essere – oddio, mi sto autocitando, abbattetemi SUBITO – e il resto è solo geografia della scusa.
Buona giornata a tutti!
Camilla
Zelda was a writer
#meetCoppola
Rifletto sulla frase “Il movimento è la vera essenza dell’Uomo”… Penso che sia davvero così ed aggiungo che non solo è l’essenza dell’uomo ma è anche il suo obiettivo principale. Il movimento che porta al cambiamento che porta nuovamente al movimento, in un circolo che non finisce mai. Il movimento è vita; E’ non star fermi sulle proprie posizioni ma guardare più in là, aprire la mente. Un movimento sia fisico che mentale… Quello fisico mi fa pensare al viaggiare. Alla scoperta di nuovi luoghi, di nuove culture che con il loro immenso patrimonio ci arricchiscono e ci “com – muovono”… Facendo scattare in questo modo anche il “movimento mentale”, forse il più importante, rivestito di quella autenticità imprescindibile.
Ed allora W IL MOVIMENTO!
PS
Se ti va ed hai tempo ti fai un giretto sul mio blog? lL’indirizzo è https://sadalmelikblog.wordpress.com.
Bacio
PSS
TI ADORO!!!
Camilla, vieni presto in Basilicata! Ti aspettiamo,
come al solito, sei sempre bravabravissima.
Baci
Davvero uno dei tuoi post più belli. Complimenti!
Grazie Noemi!!!