La Camera Chiara – Nota sulla Fotografia (Piccola Biblioteca Einaudi) è un saggio che Roland Barthes scrisse nel 1979, a pochi mesi dalla sua morte. Un appunto biografico, questo, che assume un senso fortissimo, una volta terminate le sue pagine.
Ricordo che fui letteralmente folgorata da questa lettura universitaria che, affrontata nuovamente nel pomeriggio di un fine settimana allungato, mi sembra abbia ancora molto da raccontare ai nostri giorni.
Il saggio – non facile, è vero, ma sinceramente votato alla condivisione di un pensiero sulla Fotografia – si divide in due parti: la prima affronta la difficile questione (ontologica) di cosa sia la Fotografia, la seconda indugia su una questione personale ed emotiva – la perdita della madre dell’Autore – completando le considerazioni iniziali in modo mirabile.
Se lo chiede Barthes già dalle prime righe, visto che la sua essenza corrisponde sempre e comunque a ciò che illustra.
L’intellettuale francese inizia ad analizzare solo poche foto, «quelle che ero sicuro esistessero per me», concentrandosi su chi la foto la fa (Operator), su chi la “subisce” (Spectrum) e su chi la guarda (Spectator).
La sua analisi si concentra subito sullo SPECTRUM, il fotografato.
Chiunque posi per una foto, fabbrica un altro corpo, si trasforma anticipatamente in immagine.
Chiunque posi per una foto, sperimenta la paradossale situazione di vedere se stesso in senso storico: trasformato da soggetto a oggetto, corpo imbalsamato, passaggio di un momento che è stato e che non è più. Tutto questo si potrebbe definire una micro-esperienza della morte. Trasformato in Tutto-Immagine, il fotografato diventa quello che gli altri decidono per lui. Diventa corpo inerte.
Ora ditemi se la vostra immagine pubblica – intrappolata in una posa che chiunque potrà definire intelligente, seria o priva di guizzo – non vi abbia mai indotto a pensare: che ne sarà di lei? Di chi sarà? Chi potrà vegliare sul suo stato immoto, quando sarà nelle mani di altri?
Ma chi sono questi altri, chi guarda, chi conferisce un nuovo senso?
Barthes passa a parlare dello SPECTATOR e si rende immediatamente conto che l’approccio di chi guarda è dettato da un «sentimento» che anima in modo del tutto arbitrario, facendo innamorare di una foto e lasciando totalmente indifferente nei confronti di un’altra.
In questo preciso punto, Barthes formula la sua tesi più forte e veritiera: nelle foto che muovono, colpiscono, regalano il suddetto sentimento di animazione co-esistono due elementi:
1. STUDIUM, la mera applicazione a una cosa, una sorta d’interessamento senza particolare intensità
2. PUNCTUM, che infrange lo Studium e mi trafigge senza possibilità di difesa.
Riconosci lo STUDIUM quando entri in sintonia con le intenzioni del fotografo, quando le approvi/disapprovi senza capirle dentro di te, senza discuterle. Dai, lasciatemelo dire: lo Studium è la versione seria dei like su facebook!
Non è possibile definire le regole di questa magica co-presenza. Lo Studium è sempre codificato, il Punctum invece non lo è mai, del resto è chiaro: ciò che posso definire con certezza non potrà mai sorprendermi d’improvviso!
Alcune volte il PUNCTUM è un particolare improvviso che assume la forza di un’espansione detonante e riempie tutta la fotografia. Spesso fa presagire un campo cieco, qualcosa che oltrepassa la sua cornice inviolabile. Un sottile fuori-campo.
Il Punctum è qualcosa che la mia visione aggiunge alla foto ma che è già nella foto.
Proprio a causa dell’impronta di questo qualcosa, la foto non è più una foto qualunque.
Al di là della prodezza, della tecnica, della trovata, del tempismo, al di là di tutte le sfide del probabile e del possibile, per Barthes il fotografo agisce su ciò che fotografa, su quel particolare momento in cui il qualunque cosa diventa il massimo valore.
La sua veggenza non consiste tanto nel vedere ma nell’essere presente. Nel momento e nel luogo giusto.
La sua arte sta nell’ATTIMO. Non si tratta di semplice testimonianza ma di una magica capacità di cogliere il momento giusto (kairos) e di fissarlo per l’eternità.
Barthes finisce la prima parte del suo saggio senza avere in mano la natura (l’eidos) della Fotografia.
Cosa diavolo è questa Fotografia? Quale il concetto portante?
La seconda parte del libro continua la ricerca ma, per una meravigliosa e non comune capacità di produrre bellezza, invece di farsi concettoso e denso, il discorso si espande nel lirismo più tenero e personale.
Barthes parla della morte di sua madre e di una foto, una sola tra le tante guardate, che lo riporta alla sua vera essenza.
Si tratta di un passaggio pulsante e pieno di emozione, non solo per chi abbia vissuto lo strappo di una perdita tanto straziante, ma anche per gli amanti della fotografia, di ciò che racconta, della magica composizione che è in grado di creare agli occhi dello Spectator.
Barthes arriva a comprendere che il noema della Fotografia, il suo tratto ontologico più evidente, è l’unione paradossale tra la realtà di cui essa è portatrice e la testimonianza di un tempo che è passato. Di ciò che è stato (lo vedo, ne ho le prove) e non torna.
Eccola qui, tutta l’essenza della Fotografia: la sua unione tra passato e realtà!
La foto restituisce ciò che fotografa, il suo Referente, e lo fa attraverso la LUCE.
«Una specie di cordone ombelicale collega il corpo della cosa fotografata al mio sguardo: benché impalpabile, la luce è qui effettivamente un nucleo carnale, una pelle che io condivido con colui o colei che è stato fotografato».
La Fotografia non restituisce ma attesta. Non ravviva il ricordo in senso proustiano (questo a dire che non è che l’assaggi e ti si apre un mondo altro —> il mondo della foto è la foto), non è protesa, non racconta di ciò che non c’è più ma solo e sicuramente di ciò che è stato.
La Fotografia è un certificato di presenza: può mentire sul senso della cosa ritratta ma non sulla sua esistenza. Con la Fotografia il potere di autenticazione supera quello di raffigurazione.
Eccoci giunti ad un punto cruciale: lasciate le classificazioni e i termini difficili (mica si può esaurire tutto a questo!), la Fotografia porta con sé un’Aria, un’ombra luminosa che accompagna il corpo, qualcosa che conferisce un valore di vita allo Spectrum, senza cui la fotografia resterebbe uno sterile dato di fatto.
Se il fotografo, per mancanza di talento o tempismo, non riesce a dare all’anima trasparente la sua ombra chiara, il soggetto muore per sempre.
La Fotografia, falsa a livello di percezione e vera a livello di tempo, acquista così le sembianze di un medium folle che la Società tende a smorzare come può, elevandola ad Arte o banalizzandola nella serialità e nel godimento di ciò che illustra.
In soldoni?
1. Ricordatevi del potere detonante della fotografia.
Vi sia sempre chiara la sua forza silenziosa! In un’epoca di concetto gridati, questo fatto essenziale può venire meno.
2. Non dimenticate che un vostro ritratto fotografico porta con sé il vostro corpo fermo, composto, imbalsamato.
La proprietà della vostra immagine meriterebbe infiniti post di approfondimento, ma forse basterebbe farsi delle domande essenziali che riguardano l’intimità dell’immagine e la sua diffusione. Prima di qualsiasi uso, prima di ogni condivisione.
3. Cercate di godere del piatto di pasta che mangiate e non della sua immagine fotografata.
4. Imparate a cercare il PUNCTUM nelle foto altrui.
Il PUNCTUM è una freccia scoccata in direzione del vostro stupore, la testimonianza di una folgorazione artistico-sensoriale. Se iniziate a frequentarlo e a comprenderne la presenza, la vostra strada inconscia verso la creazione di PUNCTUM (sia in fotografia ma, perché no, anche nella scrittura) vi ringrazierà.
5. Perché il punto 4 abbia luogo, cercate di guardare, non solo di vedere.
Fatelo per la qualità della vostra vita. Immergetevi nelle espressioni altrui per comprendere maggiormente le vostre e ricordatevi che tutto, foto con cellulare incluse, può diventare un’interessante esperienza conoscitiva.
6. In quest’epoca di virtuale a pranzo e a cena, il concetto d’intimità può venire meno. Tatuatevi questa bellissima frase di Barthes e non parliamone più: io voglio enunciare l’interiorità senza concedere l’intimità. Non facile, ne convengo ma essenziale per farvi liofilizzare l’anima.
Buona settimana e scusate il ritardo di questo post: confesso di averci lavorato moltissimo per sfrondare, semplificare e arrivare al punto!
La materia non era affatto semplice e un trattato di tale levatura avrebbe meritato passaggi e approfondimenti più accurati… Ma ci tenevo tantissimo che vi raggiungesse comunque, imperfetto e scricchiolante!
Camilla
Zelda was a writer
(ph: Roland Barthes – crediti sconosciuti // Alexander Gardner, Ritratto di Lewis Payne, 1865)
Che bello questo post! L’ho bevuto tutto d’un fiato!
Anch’io all’università ho frequentato un corso di Storia e Tecnica della Fotografia ed è stato uno dei corsi che mi è piaciuto di più, da pazzi. Il mio profe aveva un suo modo di definire la fotografia: “La fotografia è scrivere con la luce, cioè è un’arte nata da un raggio di luce a da un veleno.”
Era un uomo estremamente poetico…
Che bel post Camilla!! Complimenti!! Io non ho studiato fotografia, ma il concetto del PUNCTUM l’avevo già letto qualche settimana fa sul La Lettura del Corriere e mi aveva affascinato!!! Adesso che ho letto il tuo post l’ho capito ancora meglio e mi affascina sempre più!!
A proposito di grandi maestri della fotografia, vieni stasera alla lecture di Steve McCurry?
Silvia
ciao silvia!!!
GRAZIE! <3 ne sono felice!
ehm... sono ancora qui, davanti al computer :(
Rivelazione! (punctum intellettuale)
proprio ciò di cui avevo bisogno in questo preciso istante, devo leggerlo.
Ringrazio infinitamente, anche per la sintesi e la spiegazione dei concetti davvero soddisfacente.
Rebecca
Bravissima! Ho letto e approfondito il libro all’università durante il corso di Estetica e devo dire che il tuo riassunto è davvero completo! Invidio molto la tua bravura e “leggerezza” nello scrivere!
Fede
Grazie Cami!
Lo sto leggendo adesso e per me non è di comprensione immediata :( ma la tua spiegazione mi sta aiutando molto!
Grazie grazie mille volte grazie :)
Eleonora
Fabio, quasi 57 anni e iscritto al 1° anno di scienza della comunicazione, il mio terzo esame è sui media visuali (fotografia e cinema) il prof ha citato questo libro di Barthes e cercando in Internet ho trovato sia il libro sia il tuo riassunto..
Complimenti, leggerti è stato un piacere.. grazie per questo regalo che fai alla comunità degli internauti..
Caro Fabio,
i miei più grandi in bocca al lupo per i tuoi studi! Torna ogni tanto per aggiornarmi!
Un sorriso,
Camilla
Complimenti.
Bravissima !!!
Che bella recensione
veramente stupenda.
Paolo
Grazie Paolo!
Grazie mille, io ho comprato il libro ma l’ho trovato di difficile comprensione, il tuo post l’ho trovato molto interessante e mi ha permesso di capire ciò che con il libro non mi è arrivato.:-)
Ne sono tanto felice!
Un sorriso!
Ho letto questo saggio e ho fatto fatica a capirci qualcosa; questa tua recensione spiega molto bene i passaggi cruciali, grazie!
Ottimo Lavoro !