C’è stato un signore che tanto tempo fa ha studiato. Un uomo dagli studi impalpabili, legati alla spiritualità e a tutto quello che varca la soglia del tatto per farsi esperienza olfattiva e intima. Il signore in questione si è chiamato Jalal al-Din Rumi. Con lui e il suo Mathnawi il sufismo ha avuto parole e diffusione.
Il Mathnawi, che viene definito il Corano in versi, è la parte più poetica, artistica e ispirata della millenaria cultura islamica. Si tratta di un grandissimo tributo a tutte le religioni, al misticismo universale e all’arte.
Per i sufi, l’anelito a produrre arte è il tentativo – imperfetto ma sincero – di ritornare al Divino, perso inesorabilmente in un giorno come tanti, con l’arrivo del corpo e delle sue bassezze. Così, se l’uomo tende ad ancorarsi al terreno con le sue necessità più basse, dentro di sé si agita una forza inspiegabile che lo spinge a ricongiungersi all’Unità, al suo primordiale sodalizio con Dio.
Alcuni sufi roteano fino a perdere il senso di sé, del proprio corpo. Fino a diventare una piccola ma significativa particella di eterno. Altri cantano bellissime melodie dell’anima, perché anche con il canto si può ritrovare la Perfezione.
E ci si può riuscire anche con il suono di un flauto – il ney -, con la scrittura di una manciata di versi, con un’illustrazione ben fatta. Con un intimo anelito alla costruzione del bene, che ci faccia ascendere, ci liberi, ci renda migliori, completi.
Tutti dovrebbero leggere il Mathnawi. Prima di tutto per capire che l’Uomo, a prescindere da dove sia nato e in cosa abbia creduto, si è sempre domandato come essere migliore.
Ieri sera sono stata ad un concerto di un ensemble chitarristico chiamato CENTOCORDE.
Vi fa parte la mia socia Clelia e vi confesso che è sempre un piacere vederla svettare sul palco tra tanti professionisti. Così felice, così sicura dei movimenti delle sue mani sulle corde.
Ieri sera l’occasione era specialissima: si trattava di un concerto tributo per Claudia Mantovani, una giovane musicista prematuramente scomparsa qualche mese fa. Sul programma di sala c’era una sua foto. Sorrideva con in mano la sua chitarra. Sembrava completa, felice, saggia. Verso la fine del concerto, complice il buio, una o due lacrime sono cadute senza che potessi avere la meglio su di loro. Le ho lasciate andare, come piccole gemme di un magico blu cobalto che ritornano al mare.
Quando mancano poche ore ai tuoi 34 anni, la Vita ti parla con coraggio e lealtà, alternando sonori schiaffi a materne carezze. Non te lo spieghi mai fino in fondo, neanche crescendo in saggezza e fatalismo, perché la giovane vita di una bellissima ragazza debba finire prima della tua, prima di quella dei suoi genitori. Ma ieri sera, Amici, c’era qualcosa di magico negli anfratti della minuscola Sala Wagner di Milano. Le note ascendevano al soffitto e scalfivano le regole ferree della materia raggiungendo il cielo e forse, chi lo sa, il Divino.
Forse Claudia era lì, forse suonava pure lei, con quella serietà dei visi puliti e giovani che ho visto esibirsi sul palco. Con la sensazione di essere nelle cose del mondo per una feroce e istantanea missione di bellezza.
Forse si vive la grande occasione di questa Vita, del suo procedere, anche per altre esistenze che hanno interrotto il loro cammino in modi più o meno sommessi, più o meno tragici. Forse non conta davvero l’accumulo delle stagioni. Conta il senso dell’attimo, il coraggio della mano alzata per rispondere alla domanda più difficile.
Leggete il Mathnawi, se vi capita, se siete curiosi, se vi muove un intento artistico, creativo, pacifico. Troverete modo di stupirvi, troverete modo di capire che dentro ognuno di noi alberga un piccolo spicchio di eterno che tende alla completezza, alla bellezza.
Rumi una volta ha detto TUTTA LA VITA STA IN QUESTO: SIATE UN FLAUTO SILENTE.
Ci pensavo sulla strada del ritorno, lungo la scia che Amazing Grace aveva lasciato alla fine del concerto. Non conta dirlo ad alta voce, non conta suonarlo con volumi da stadio: questo feroce e inebriante senso di costruzione ci alberga e ci sovrasta ancora prima della nostra volontà.
Uscita dalla Sala Wagner, su un cestino della spazzatura, ho trovato una gru.
Lo stesso origami che faccio da un mese a questa parte. Sempre la solita gru. L’unica che, impegnandomi, riesco a produrre malamente: una volta microcefala, un’altra claudicante.
Ho pensato fosse un segno.Forse saranno i 34 anni in arrivo a rendermi così melensa e retorica.
Perdonateli, se potete, e fatelo anche voi, Amici: siate sempre un flauto silente.
xoxo
uao.
prendo nota, di tutto.
(e buon ultimo sabato dei 33.)
ciao piemario! grazie della tua BELLISSIMA mail! ti rispondo, sai!
buon week-end e mi raccomando: tanti click per tutti noi!
Se io fossi una potente editor, questo post, da solo, basterebbe. Punto.
Ma siccome potente non sono, da amica ti dico: leggerti è un incanto. Punto.
esiste la potenza del sentimento e della presenza e questa, a poche ore dai miei 34, è une conquiste più importanti dell’ultimo scorcio di questa mia vita. quello a cui non voglio più rinunciare.
ti adoro, potentissima Chiara I Maiuscola Puntata.
aspetta a chiamarmi al telefono, che son tutta commossa. sigh, sob.
ahahhahahaha!! siam messe malissimo con ‘sta cosa dell’emotività. vado a piangere anche io. sob sob sob.
* una delle conquiste più importanti.
per dovere di correzione.