Con un po’ di fortuna, imparerete anche voi
a tenere la rotta orientandovi con le stelle.
RAYMOND CARVER
Buongiorno a tutti e buonissimo dicembre!
Vi ricordo che, con oggi e fino alla fine del mese, inizia il nostro #PtitZelda2o14 (una sola foto al giorno su instagram e flickr, con la specifica del giorno attraverso l’hashtag #ptitzelda2014day1, #ptitzelda2014day2, #ptitzelda2014day3, etc. —> per maggiori informazioni, vi invito a cliccare qui).
Ogni volta che apro la finestra dei nostri dialoghi, vi vedo lì, sorridenti e pronti… Questa è una fortuna immensa!
Sabato, al Mammacheblog Creativo, ho promesso che avrei condiviso la stramba infografica che avevo preparato per l’occasione. Eccomi qui per farlo!
Questa promessa mi regala la possibilità di ringraziarvi tutti, per l’entusiasmo e l’affetto, gli abbracci e i pensieri! Grazie soprattutto per aver dato un volto a tantissime entità virtuali che mi erano care ma che adesso riesco finalmente a immaginare immerse nella vita vera! E grazie a Fattore Mamma per avermi invitata, ça va sans dire!Sabato abbiamo parlato di fotografia, di come comunicare attraverso le sue potenzialità infinite.
Per me la fotografia è un componimento breve forte e magico. A volte è puro racconto, spesso vira nella poesia più atavica e sconfinata.
La cosa che mi emoziona sempre è il fatto sostanziale che, guardando il mondo, tu sei a tua volta guardato. Intimamente, in profondità. Questo scambio di amorosi sensi mi capita di continuo ed è il motivo per cui all’inizio dell’infografica campeggia il mio tentativo maldestro di fotografare Notre Dame, sdraiata in piena piazza, come se fosse una cosa del tutto normale.
Guardare gli altri ci regala una percezione profonda di chi siamo, guardare regala ascolto, ci fa perdere, si tratta di un’azione statica e al contempo in continuo movimento. Guardare è sinestesia pura.
Raymond Carver diceva di essere giunto al racconto e alla poesia per pura necessità: la sua esistenza lo voleva povero in canna e con una famiglia da mantenere. L’esigenza primaria era sopravvivere e tutti i lavori, anche i più umili, andavano bene.
Raymond – concediamoci la libertà di chiamarlo così – non aveva tempo da perdere ma non ha mai smesso di pensare alla sua passione più grande: la scrittura. Per lei si ritagliava tutto il tempo che restava, poco ma inteso.
Ricordatevelo, per ogni volta che vi sentirete dire che avere un piano B è una cosa da pazzi. Ricordatevelo anche quando vi diranno che oramai la vostra vita è decisa: Ray – massì, abbreviamo – non solo riuscì a frequentare l’università in età per così dire avanzata e a seguire corsi per corrispondenza ma, a un tratto, si trovò lui stesso a insegnare.
Era un uomo così tanto innamorato della scrittura da essere stato in grado di galvanizzare gli animi dei suoi studenti. Sempre generoso, sempre presente. Un passo indietro, una mano sulla spalla.
Perché parlo di uno scrittore in un post dedicato alla fotografia?
Perché, per quanto mi riguarda, la fotografia scrive. Non saprei dirvi se le mie parole scritte siano un prolungamento della mia fotografia o se accada l’esatto contrario ma spesso decido di non chiedermelo, brandisco una qualunque propaggine – che sia una macchina fotografica o una penna – e mi dedico alla mia più grande passione: ingabbiare o imbalsamare piccoli stupori, qui e ora della mia vita, del mio pensiero.
Susan Sontag pensava al fotografo come a un collezionista a cui capita – questo in realtà lo aggiungeva Roland Barthes – di avere la fortuna di essere testimone di un attimo.
Mi piace pensare alla mia vita così: spalmata su un marciapiede mentre un qualunque fatto improvviso decide di attraversare l’area d’azione del mio obiettivo. Mi piace pensare di avere trovato il momento unico di un fatto tra milioni di fatti, in un milione di momenti che accadono all’unisono. Mi piace pensare di avere plasmato quella contingenza attraverso la mia traiettoria, il mio gusto, il mio sentimento dell’essere al mondo.
In sintesi, mi sento di dirvi questo: niente di quello che piace a tutti o pare indispensabile per la vostra vita è giusto per voi, se non vi piace o non vi ci sentite portati. La fotografia vi piace? Tentate, sporcatevi gli occhi, studiate, chiedete, condividete, continuate a guardare, a scattare. La fotografia no, non fa per voi? Non imponetevi di farvela piacere a tutti i costi. Le costrizioni sono quanto di più drammatico possa esistere, infliggersele scientemente è un selfie sfuocato e buio, pieno di terrore e fatica.
La creatività è uno schianto in pieno petto, è qualcosa che ti anima intenti e giornate, la tipica essenza impalpabile che ti fa alzare la mattina con slancio e ti rende infaticabile come i titani. Fai mille cose necessarie ma poi, sempre, torni a lei, al tuo ossigeno. Non è detto che ti renda felice, spesso amplifica i mostri che ti porti dentro, ma è un dato di fatto che tu, senza di lei, non possa più vivere.
La creatività non è funzionale, capita che ti renda famoso o che ti riduca una larva. Ti tagli un orecchio, muori e poi diventi una leggenda. Nessuno può pontificare sulle sue trame, infinite e spesso paradossali.
La creatività non è direzionata verso un risultato ma è uno stato d’animo. La creatività è un’ottica, quella della tua macchina fotografica preferita, la stessa con cui avete fermato mille attimi nella piena certezza che altri mille saranno lì ad attendervi. Viaggi per il mondo e guardi, qualcuno pensa che tu non stia combinando nulla mentre tu ti senti nel pieno della tua scommessa più grande: “La Vita. Sempre la Vita” – come avrebbe chiosato degnamente Ray.
Qualunque cosa succeda, intendo cose mirabolanti (successo, followers e soldi), non sono il fine dell’impresa ma un’opzione non sempre certa, democratica o prevedibile. Ve lo auguro, certo, ma non sempre sono il risultato naturale o la prova provata di una giusta intuizione.
La fotografia è meccanica e stregoneria: è l’arrivo del treno a La Ciotat dei Lumière ma anche la luna di Méliès o Narciso, con il suo bisogno insopprimibile di riflettersi. La fotografia è dunque intrisa di funzionalità ma, come tutti i colori forti, può stare benissimo ovunque, anche senza che ci sia un perché.
Insomma, prima di tutto, create per affinare l’assenza dei vostri perché, per testimoniare il vostro viaggio nel mondo e non per sorprendere devastanti orde di folle festanti. Quando piaci a tutti (non a tanti, a tutti tutti) ti sei perso e, diciamocelo, hai sporcato l’impasto vivo e materico dei tuoi colori più forti.
Perdonate la verbosità!
Buona settimana a tutti!
Camilla
Zelda was a writer
grazie :D
è stato bellissimo ascoltarti, fai ‘smuovere gli animi’ ^_^
e complimenti anche per la tua ‘stramba infografica’: meravigliosa
Un bacio, cara Sara <3
Grazie per la magia e per certi squarci che solo le tue parole colorate sanno aprire… Ti seguo in silenzio
Hai perfettamente ragione, fotografare è scrivere (e quindi raccontare), non per niente è nell’etimologia della parola stessa.
L’unica cosa che vorrei aggiungere è che va bene esprimersi e non aver paura ma occorre anche stare attenti alla bulimia fotografica; ossia il farsi prendere dal frenetico bisogno di fotografare tutto e tutti senza osservare prima.
Inoltre facilmente può accadere di perdersi dietro alla macchina fotografica che, per un’infelice limitazione tecnica, riesce a carpire solo un piccolo spicchio del mondo che ci circonda; se rimaniamo troppo dietro alla macchina rischiamo di perderci il meglio.
Buona luce a tutti!
—Alex
Grazie per aver illuminato i miei pensieri che, confusamente, cercavano di dirmi le stesse cose!
Io sono tornata a casa con nel cuore il desiderio di imparare a guardare come guardi tu, totalmente disponibile a farmi guidare dall’oggetto per arrivare alla profonda conoscenza di lui. E’ un bel modo di vivere e amare quello che abbiamo davanti agli occhi. Grazie Camilla, ti sento così compagna in questa vita. Un abbraccio
Mi piace questo post. Anzi scrivine ancora. Sulla fotografia, intendo.
Anche se non sono brava e appassionata come te, adoro scattare foto.